sabato 25 agosto 2007

CHI E' DUNQUE IL DISCEPOLO?



Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo.


La Parola di stamattina (vedi Mt 23,1-12) è particolare alla nostra vita, alla nostra coscienza. Quasi, quasi sembra che ripercorra il nostro modo di vivere, così come indica la Parola: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti scribi e farisei".
Non è una condanna quella di Gesù, nei confronti della legge Mosaica, dal momento che invitava (scribi e farisei) ad osservarla: ma erano essi che egli biasimava perché, pur proclamando le parole della legge, erano vuoti d’amore e per questo violatori della legge rispetto a Dio e al prossimo. Come dice Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me; è invano che mi rendono culto, mentre insegnano dottrine e comandamenti di uomini" (Is 29,13). E san Paolo aggiunge: "ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio: infatti, il termine della legge è Cristo, per la giustificazione di ogni credente" (Rm 10.3-4).
Allora chi è il discepolo? E' colui che sta dietro a Gesù, appiccicato. Egli è il Maestro per eccellenza e di Lui bisogna farne esperienza e guida nella vita di ogni giorno.
Questa esperienza di vita non è fondata sull’istituzione, sulla dottrina, ma sulla fede, sull’adesione alla sua persona. Gesù si mostrò quale Rabbì, ma non perché è Rabbì va seguito! Se non comprendiamo questo punto discriminante, vana è la nostra sequela: faremo di Lui solo un maestro spirituale, un uomo carismatico o un rivoluzionario: ciò non basta per fondare la fede e fare di noi dei credenti... I titoli più adatti della comunità primitiva per il Maestro sono il Padrone o il Signore, titoli per esprimere la confessione di fede.
Nel vangelo secondo Matteo, l’evangelista della Chiesa giudaica che ha intravisto il pericolo del titolo di Rabbì dato a Gesù, il termine Maestro ricorre specialmente sulle labbra degli avversari di Gesù e quasi si contrappone al termine Signore, oppure è corretto da altri termini... Non è forse significativo che il discepolo che si autocandida alla sequela di Gesù chiamandolo Maestro sia respinto, a differenza di quello che lo chiama Signore (Cfr Mt 8,18-21)?
Ritorniamo ad essere discepoli, fedeli e coerenti a quanto diciamo, a quanto professiamo con le labbra e il cuore. Anche chi è immerso negli affari terreni, può continuare a rendere un culto gradito al Signore, ad essere discepolo di Cristo.
Forse, se la nostra vita fosse accompagnata da tratti di finezza e umiltà, potremmo portare ancora una volta il Cristo a tutti e riconoscerlo come Signore della nostra vita e della nostra storia.