martedì 16 ottobre 2007

NON L'APPARIRE, MA UN CUORE CHE AMA!

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!




Il Vangelo di oggi (vedi Lc 11, 37-41) in qualche modo, risveglia il nostro modo di essere sopratutto quando ci sentiamo superiori all'altro.
Nel brano evangelico Gesù è invitato a pranzo nella casa di un fariseo, ma non compie le prescrizioni rituali prima del pasto. Questo comportamento gli procura severi giudizi. Gesù, accortosene, risponde al fariseo spostando la questione rituale su un altro piano, quello del cuore. Gesù infatti, è Colui che sovverte sempre le nostre domande. Quante volte facciamo il contrario di come dovremmo fare? Quante volte inchiodiamo il Cristo alla croce delle nostre domande, delle nostre attese e di quanto ci passa dalla testa, invece di inchiodare il tutto nella Croce di Cristo?
Gesù qui vuole chiarire che nella vita non conta l'apparire, fosse anche corretto, ma l'essere un uomo e una donna con il cuore misericordioso, capace di amare. Se il cuore è pieno di cattiveria anche l'agire sarà conseguente. Per questo, senza condannare l'agire, Gesù vuole ricondurre al cuore. Quello che conta è ciò che si ha nel cuore. A nulla vale osservare l'esteriore se poi si trasgredisce la giustizia e si è lontani dall'amore. Gesù esorta a "dare in elemosina quel che c'è dentro", ossia a dare la nostra vita in dono, a dare al mondo l'amore che è stato riversato nei nostri cuori. La ricchezza del discepolo non è la molteplicità delle preghiere o di quante volte andiamo a Messa, bensì avere un cuore misericordioso e pronto all'amore. Questo lo libera dai "guai" che si abbattono su coloro che amano solo se stessi e il proprio protagonismo.
In questo giorno, chiediamo al Signore quella purezza di cuore sempre tanto insidiata dalla "predicazione" di questa società che "vaneggia" a caccia di sempre più "avere," e "idolatra" le realtà passeggere.
Preghiamo così: O Signore, dammi un cuore limpido che sappia ammirare ogni realtà creata come specchio della tua stupenda, infinita bellezza. Dammi un cuore sgombro perché accolga tutto come dono tuo e lungi dall'impossessarsene lo gestisca nella lode.