sabato 18 aprile 2009

II DOMENICA DI PASQUA

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Siamo nella II domenica di Pasqua detta anche domenica "In Albis", ma è anche la domenica della Divina Misericordia, così come l'ha voluta consacrare Giovanni Paolo II.
Il tema centrale di questa domenica è la nostra fede... meglio il nostro modo di credere. Perché credere in Dio? Perché credere in Gesù, nel Vangelo, in quello che insegna la Chiesa da secoli…?
Chissà quante volte diamo per scontato il nostro credo, in particolare quando liturgicamente dobbiamo professarlo: o con una formula più o meno lunga o con il rinnovo battesimale che si limita ad una risposta dipesa dall'invito del Celebrante, credo o rinuncio. Ma tutto qui?
Il Vangelo di questa domenica, ci mette a confronto con la fede degli apostoli (si ripete anche in altri brani, ove si racconta del loro legame con Gesù).
Nel racconto dell’evangelista Giovanni, Gesù Risorto appare ai suoi amici e si fa vedere. La loro fede è fondata su una esperienza diretta della Resurrezione. Anche noi in qualche maniera abbiamo fatto esperienza della risurrezione. L’evangelista Giovanni sta raccontando un fatto accaduto la sera del primo giorno dopo il sabato: quindi, anche se noi stiamo leggendo questa pagina dopo una settimana dalla Pasqua, il Vangelo sta ancora parlando di quello stesso giorno.
Ma qui accade qualcosa di particolare: un personaggio, Tommaso, ha bisogno di vedere e toccare per entrare dentro la gioia pasquale. Quante volte ci immedesimiamo in questo Apostolo. Ma credo in una maniera errata, tanto da farne un mito dell'incredulità. Tommaso non è questo è ben altro. Come la fede di tutti gli apostoli non è “campata in aria”, non è frutto di convincenti ragionamenti logici sull’esistenza di Dio e sulla centralità di Cristo. La loro fede, quella fede che li spingerà poi a testimoniare anche nella vita il Vangelo di Gesù, nasce da una esperienza concreta, da un incontro visibile e da una pace interiore che il Risorto in persona “soffia” su di loro.
Anche in Tommaso avviene questo, in maniera più lenta degli altri. D'altro canto ognuno di noi ha un suo grado di apprendimento. E' la lentezza di Tommaso ed è la nostra lentezza a credere, con pochi verbi, i più semplici e concreti: guarda, metti, tocca.
Tommaso fa per noi quel gesto; lì ci sono tutte le nostre mani, di noi che abbiamo creduto senza aver toccato, ma perché altri hanno toccato. Gesù ripete ad ogni credente: guarda, stendi la mano, tocca. Guarda dentro, fino alla vertigine, in quei fori. Ritorna alla croce, non stancarti di ascoltare la passione di Dio, di guardare le piaghe che guariscono. L'amore ha scritto il suo racconto sul corpo di Gesù con l'alfabeto delle ferite, ormai indelebili come l'amore. E Tommaso entra in questa dimensione dell'amore e crede. Il suo credo però è fondato sulla pace data dal risorto più che dal toccare. Tommaso fa un grande passaggio: dall'incredulità all'estasi: «Mio Signore e mio Dio», con quel piccolo aggettivo possessivo che cambia tutto, che viene dal Cantico dei Cantici, che è risuonato nel giardino sulla bocca di Maria. Questo "mio" che non indica possesso, ma l'essere posseduti, e dice adesione, appartenenza, scambio di vita. E la vitalità di Dio mi è compagna dei giorni, l'avverto, è energia che sale, dice e ridice, non tace mai, dà appuntamenti, si dilata dentro, mette gemme di luce, mi offre due mani piagate perché ci riposi e riprenda fiato e coraggio. E dico a me stesso, io appartengo ad un Dio vivo, non ad un Dio compianto.
Mi auguro che ognuno di noi possa dire: io appartengo a un Dio vivo!!!

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