giovedì 30 aprile 2009

1 Maggio: San Giuseppe Lavoratore

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Il vangelo di oggi (vedi Mt 13,54-58), nella memoria di san Giuseppe lavoratore, descrive la visita di Gesù a Nazaret, sua città natale, dove lui visse 30 anni e dove imparò da Giuseppe, suo padre, il mestiere di falegname. Il passaggio da Nazaret fu doloroso per Gesù. La sua comunità non era più come quella di prima. Qualcosa era cambiata. La gente si stupisce del figlio del carpentiere divenuto ad un tratto maestro e taumaturgo: «Da donde gli vengono tutte queste cose?». Una domanda piena di rifiuto. Infatti, non accettavano il mistero di Dio presente in un uomo comune come loro! Per poter parlare di Dio, Gesù doveva essere diverso da loro!
Ma niente di nuovo sotto il sole! Lo si sperimenta ancora oggi: le persone che dovevano essere le prime ad accettare la Buona Novella di Dio, queste erano le persone meno disposte ad accettarla. Il conflitto non era solo con quelli di fuori di casa, ma anche e sopratutto con i propri parenti e con tutta la gente di Nazaret.
Gesù sa molto bene che "nessuno è profeta nella sua patria". Infatti, lì dove non c'è apertura né fede, nessuno può fare nulla. E Gesù stesso, pur volendo, non poteva fare nulla. Il vangelo di Marco lo dice chiaramente: "E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità" (Mc 6,5-6).
Con questa celebrazione, l'attenzione la posiamo anche sul campo del lavoro. Parlare di lavoro oggi è un grosso problema e i motivi, purtroppo ce ne stanno diversi per parlarne. Il lavoro costituisce da sempre un elemento fondamentale della vocazione umana e cristiana. Esso si configura come la possibilità di partecipare all'opera divina della creazione e di prolungare, con la propria attività, l'opera del Redentore. Concreatori e corredentori ci rende dunque il lavoro. Qui cogliamo l'occasione per contemplare l'icona di san Giuseppe riconoscendo il lavoro come vocazione e ne cogliamo la dignità ritenendolo al contempo «affermazione di libertà e di trascendenza rispetto alla natura». Il fascino di un Dio che lavora e suda come noi edificando il regno di Dio attraverso una laboriosità ritmata nell'alternarsi armonioso di preghiera, relazioni comunitarie e lavoro c'interpella. Direi che scardina il nostro disordine strutturale che, oggi più che mai, tende a ridurci a "forza lavoro" corrompendo il nostro desiderio d'infinito con i traguardi ambiziosi dell'avere, dell'avere subito, sempre di più e a tutti i costi.
Il cristiano, però, è uno che si prende carico di qualsiasi lavoro possa risultare utile all'edificazione materiale e spirituale dell'individuo e della comunità. Quello che conta, nel lavoro, dunque è l'intenzione, l'interiorità. Non esiste lavoro più meritevole dell'altro. Qualsiasi cosa, ammonisce san Paolo, sia fatta di cuore, cioè con passione, con attenzione, con intelligenza, dato che il cuore, nella cultura biblica, è la sede e il centro di tutte le facoltà umane.
Farsi servi del Signore nel proprio lavoro: questo ci permette davvero di fare delle nostre occupazioni il luogo di una sempre maggiore configurazione a Cristo, di una sempre più continua presenza a Lui. Verifichiamo la nostra scala di valori, per renderla sempre più aderente al volere di Dio.
Invochiamo l'intercessione di san giuseppe, perché il lavoro non manchi mai dalla nostra vita e ci aiuti a viverlo secondo Dio.