giovedì 2 luglio 2009

3 LUGLIO: SAN TOMMASO

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Celebriamo oggi la Festa di san Tommaso apostolo. Un santo di facile ricordo in particolare nel nostro parlare: "sei come san Tommaso".
Tommaso nei nostri ricordi è l'Apostolo incredulo. Lo ricordiamo come colui che volle mettere la mano al posto della ferita della lancia e il dito al posto dei chiodi. In altre parole è colui che nonostante la sua fatica nel credere, volle attingere la fede piena alla fonte stessa dell'amore.
Tommaso, uno dei dodici, non era presente quando Gesù apparve ai discepoli la settimana prima. In quell'occasione dimostrò di non credere alla testimonianza degli altri che dicevano: "Abbiamo visto il Signore". Lui pone condizioni: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò".
Nell'episodio che oggi la liturgia ci presenta (vedi Gv 20,24-29), Tommaso non è stato un modello e Gesù glielo dice: "Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno!". Ma la sua incredulità era destinata ad essere vantaggiosa per noi; san Gregorio osserva che Tommaso, "mentre toccava le ferite nella carne del suo Maestro, sanasse a noi le ferite dell'infedeltà".
Tommaso è esigente. Per credere vuol vedere! Non vuole un miracolo per poter credere. No! Vuole vedere i segni nelle mani, nei piedi e nel costato! Non crede in Gesù glorioso, separato dal Gesù umano che soffrì in croce. Quando Giovanni scrive, alla fine del primo secolo, c'erano persone che non accettavano la venuta del Figlio di Dio nella carne (2 Gv 7; 1Gv 4,2-3). Erano gli gnostici che disprezzavano la materia ed il corpo. Giovanni presenta questa preoccupazione di Tommaso per criticare gli gnostici: "vedere per credere". Il dubbio di Tommaso lascia anche emergere la difficoltà di credere alla risurrezione!
Nell'episodio evangelico, abbiamo i segni di un cammino che tracciano l'itinerario verso il Calvario. I segni sono i chiodi e le ferite del costato che egli tocca gli consentono di salire con il suo maestro fino al Calvario, fino alla croce per poi godere nel vederlo vivo e risorto, lì presente dinanzi a lui, ancora pronto a fugare ogni dubbio. L'intensità dell'amore talvolta supplisce alla debolezza della fede.
Vediamo infatti nella storia di Tommaso l'esplosione simultanea della fede e dell'amore quando dichiara che Cristo è il suo Signore e il suo Dio: «Mio Signore e mio Dio!». E', tutto considerato, un bel percorso quello che Tommaso compie; egli volge lo sguardo e poi tocca Colui che hanno trafitto.
L'evangelista Giovanni insieme all'Apostolo Tommaso ci porge un invito che tutti noi possiamo raccogliere: guardare il crocifisso per immergerci in Cristo, per imprimere nel nostro cuore i germi fecondi della gratitudine della fede e dell'amore.
Se imparassimo questo, non solo il dolore, ma i limiti personali e altrui, tutto resterebbe trasfigurato. Paolo ci ricorda che là dove è il limite umano è anche operante la grazia di Dio per cui - ci dice – “Quando sono debole è allora che sono forte!” (2Cor 12,10), perché nella mia debolezza è operante la forza della resurrezione. Non si tratta quindi di ‘fare pace’ con propri difetti, ma di affrontarli con il Risorto e grazie al Risorto, nel segno della pace.