martedì 24 novembre 2009

Mercoledì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Continua ancora il discorso apocalittico usati dalla Bibbia, per descrivere gli "ultimi tempi" (vedi Lc 21,12-19).
Quando leggiamo questa pagina del Vangelo viene in mente quanto continua ad accadere anche oggi: tragedie, guerre, genocidi, violenze incredibili, fame. E continuano ad essere uccisi i testimoni del Vangelo.
Quando parliamo di martiri pensiamo sempre alle prime comunità cristiane, ci immaginiamo spietati e corrotti imperatori romani sacrificare inermi famiglie cristiane gettandole in pasto ai leoni. Ma non illudetevi! Anche il secolo dei progressi (il nostro secolo), della tecnologia, dei viaggi spaziali, quel secolo ha visto una vera e propria vendemmia di cristiani, una carneficina che ha accomunato la sorte di tanti fratelli e sorelle alle sorti degli ebrei nei campi di sterminio, o dei sacerdoti nei gulag sovietici o nei più recenti integralismi nelle non lontane Filippine o in Somalia. Fratelli e sorelle come noi, discepoli del Maestro Gesù, uccisi senza una ragione, spazzati via dall'odio etnico.
Però l'evangelista ci invita a non fermarci a questi fatti e a tener presenti anche i risvolti positivi delle persecuzioni. Esse offrono occasioni di testimoniare il Signore con la vita e le parole. L'azione giudiziaria serve alla predicazione, il carcere, all'attività missionaria. Il vangelo di Gesù è annunziato attraverso le sofferenze dei martiri: il loro esempio è più eloquente dell'annuncio dei predicatori.
La fedeltà a Cristo mette i discepoli in contrasto con tutti coloro che non accolgono la fede cristiana. Se Gesù e la sua parola sono rifiutati, anche i cristiani saranno rifiutati. Gesù ha detto: "Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me" (Gv 15,18). Lo storico romano Tacito riassume così il suo giudizio sui cristiani: "Odiosi all'intero genere umano".
Seguire Gesù cari amici, è qualcosa che coinvolge tutto il mio esistere, non solo alcune mie idee o certi miei comportamenti. Si tratta di "rischiare" per Lui tutto; però con la persuasione di fondo che "chi perde la propria vita per Lui la salva" (Cfr. Mt 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24). Niente andrà perduto, "neppure un capello del vostro capo".
Il cristiano è colui che per vocazione deve resistere fino alla fine con la pazienza, che non è rassegnazione, ma resistenza costante e inflessibile.
Nel libro dell'Apocalisse leggiamo: "Colui che deve andare in prigionia, andrà in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso. In questo sta la perseveranza e la fede dei santi" (13,10). Per questa via il fedele giungerà alla vita eterna.
Ma interroghiamoci pure che tipo di cristianesimo stiamo vivendo. Viviamo troppi e inopportuni silenzi durante le discussioni farcite di pregiudizi, sulle occasioni – evitate – di rendere testimonianza, come chiede oggi il Signore ai suoi discepoli. Testimonianza di amore e di dialogo, di fermezza e di testimonianza, senza fanatismi, ma capace di porre interrogativi, di suscitare brecce nelle incrollabili e pagane certezza della nostra modernità. E se questo, talvolta, suscita uno sguardo di commiserazione, una battuta inopportuna, un qualche piccolo dispetto, portate pazienza: era già previsto dal Signore Gesù!
Allora preghiamo perchè la nostra vita non sia fatta di "poltrona e pantofole", ma di amore testimoniato e da testimoniare.
Signore, sentiamo la nostra piccolezza e la nostra fragilità: troppe volte ci vergogniamo di essere cristiani. Riempici dello Spirito di fortezza, per essere capaci di renderti testimonianza, oggi, là dove viviamo.