sabato 9 gennaio 2010

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Dopo la solennità dell'Epifania, la grande rivelazione del Figlio di Dio a tutte le genti nella simbolica immagine dei tre Re venuti dall'Oriente, oggi la liturgia celebra un'altra teofania: il riconoscimento del Cristo, quale Figlio unigenito, per la voce stessa del Padre, che avviene nelle acque del Giordano dove Gesù chiede a Giovanni il battesimo.
La festa del Battesimo di Gesù è stata sempre l'occasione per riflettere sul battesimo dei cristiani.
Il battesimo è la porta d'ingresso nella salvezza. Gesù stesso nel Vangelo dice: "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato" (Mc 16, 16). Nessuno oggi dice che per il semplice fatto di non essere battezzato uno sarà condannato e andrà all'inferno. I bambini morti senza battesimo, come pure le persone vissute, senza loro colpa, fuori della Chiesa, possono salvarsi (queste ultime, naturalmente, se vivono secondo i dettami della coscienza).
In questa festa del battesimo Gesù si manifesta con una incredibile umiltà. Si potrebbe dire che la povertà e la pochezza del bambino deposto sulla mangiatoia non sono scomparse in Gesù adulto. L'umiltà di quel bambino non è diminuita con la crescita.
Per noi avviene esattamente l'opposto: più cresciamo in età e più ci sentiamo sapienti, forti e indipendenti. Gesù adulto si mette in fila e si lascia battezzare; e al termine dei suoi giorni giungerà a mettersi in ginocchio a lavare i piedi dei discepoli e conoscerà l'umiliazione terribile della croce. Ha iniziato la vita disteso sul legno della mangiatoia e la terminerà appeso sul legno della croce. È questo il nostro Dio, quello che si manifesta a noi.
In questa festa del battesimo di Gesù avviciniamoci alla predicazione del profeta, per rivivere la grazia del nostro battesimo. Anche per noi si aprono i cieli perché scenda lo Spirito Santo ed essere trasformati nel profondo del nostro cuore.
Oggi siamo invitati a vivere della stessa umiltà di Gesù per udire la voce del Padre che ci chiama a far parte della sua famiglia, come figli diletti.

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