mercoledì 16 ottobre 2024

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

SERVITORI COME GESÙ


In queste domeniche la liturgia ci fa seguire Gesù verso il Calvario. Gesù per la terza volta sta raccontando quanto gli accadrà a Gerusalemme
(cfr. Mc 8,31-32; 9,30-32; 10,32-34). Sembra che non a tutti interessa sapere quest’annuncio di Passione, come del resto molti fanno finta di seguire Gesù ritrovandosi con idee distorte su di lui e su sé stessi, continuando ad ambire a sé stessi per la propria gloria (cfr. Gv 7,18), proprio come i figli di Zebedeo.
Chi sono questi due discepoli? Sono Giacomo e Giovanni che da tempo seguono Gesù. Di loro il Vangelo dice che lasciarono il padre nella barca insieme ai garzoni per poter seguire Gesù (Mc 1,20). Ora vengono presentati legati alla mentalità di casa: “i figli di Zebedeo”, dice l’Evangelista, quasi a sottolineare un passato sempre in pole position. Vengono soprannominati “figli del tuono”, gli spacconi li chiameremo oggi, perché con la loro arroganza pensano di essere qualcuno ma alla fine si rivelano nessuno.
Ancora oggi tra noi, nonostante che Gesù ricorda che l’amore chiede e non pretende, continua a ripetere di non amare certe posizioni nella vita, a non ambire ad essere il numero uno nella società e questo ovunque: dalla vita reale a quella dietro una pagina social.
Oggi, l’Evangelista ci fa capire l’abissale distanza del cuore di ciascuno di noi che ci diciamo cristiani, dal cuore di Gesù.
Anzitutto ci dice che questo modo di comportarsi non appartiene alla logica di Dio ma a quella del mondo, un mondo che non sa più vivere perché ammaliato dal proprio idolo, ammaliato da sé stesso.
Certo, non è facile crescere nella logica di Dio anche perché non è una cosa così semplice uscire dalle nostre convinzioni. Però non possiamo dire di essere discepoli perché magari in parrocchia siamo catechisti, in Diocesi impegnati per le missioni, oppure preti, suore, frati, etc. perché anche questo si può trasformare in luoghi di competizione per i primi posti.
Nel Vangelo, troviamo gli altri discepoli che avevano anche loro qualcosa da dire, anche loro ambivano a quella poltrona in prima fila. E questa era la Chiesa nascente. Un po’ come la Chiesa dei nostri giorni che la troviamo sempre in lotta con se stessa. Ma Gesù non si scandalizza. Conosce bene i suoi discepoli, conosce bene ciascuno di noi e ci raccoglie attorno a Lui ancora una volta per insegnare, spiegare, chiarire per farci capire che per essere veri discepoli occorre entrare nella logica di Dio, servendo gli altri come li servirebbe Dio.
Ricordiamoci che Dio non esaudisce le nostre attese ma le sue promesse. Per questo Gesù, senza eliminare quel desiderio di gloria lo capovolge dicendoci: vuoi essere nella gloria? Ebbene, bisogna che tu entri nell'ottica di Dio, nell’ottica della Croce!
Chissà quanti di noi riusciamo a capire che la Croce sfocia nella gloria. Eppure, tutti sappiamo che Gesù stesso, per entrare nella gloria, è passato attraverso la Croce e tutti sappiamo che Gesù stesso dopo la sua risurrezione disse ai discepoli di Emmaus: «non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,26).
Facile allora chiedere di sedersi nella gloria senza aver sofferto. Per questo Gesù ricorda ai figli di Zebedeo, lo ricorda anche a noi in questo momento, che tutti dobbiamo bere quel calice fino in fondo, sprofondare nella sua morte accogliendola nella propria vita.
Non è semplice accogliere la Croce di Cristo nella nostra vita. Infatti, manda tutti in crisi. Occorre scoprire che la Croce è il Vangelo, la Buona notizia ma per scoprirlo, ci vuole un grande dono che si chiama fede, dono concesso a chi si pone in disponibile e religioso ascolto della Parola di Dio.
Il cristiano non è invitato a adagiarsi sulle croci della vita che spesso ci esauriscono e ci impediscono di vivere liberamente. Occorre morire ai nostri pregiudizi, ai rancori, alle fobie, alla pigrizia, all’incoerenza e a saper prendere la sua Croce che è dono d’amore e seguirlo nella vita di tutti i giorni, seguire lui servo sofferente, prendendosi cura dell’altro e scoprire così che la vera grandezza è fatta di amore, tenerezza, gioia, riposo, festa.
Ancora una volta Gesù dice: «chi vuole essere il primo, deve farsi schiavo di tutti», così come ha fatto lui stesso. Questo è stato il programma di vita di Gesù e deve essere anche il nostro. Essere servi non vuol dire valere poco nella vita. Il servire è il luogo in cui Gesù ha voluto manifestare il volto del Padre, è il luogo in cui si è cinto il grembiule dell’amore.
Con questa Celebrazione, Gesù ci ricorda che Egli continua a venire in mezzo a noi per servire, perché anche noi possiamo essere servitori come Lui. Dare la vita come hanno fatto i nostri santi e che tra non molti giorni li ricorderemo tutti, senza secondi fini, con generosità, donando la propria vita fino alla fine. Questo è l’unico modo per entrare nella gloria di Gesù: nel servizio disinteressato all’umanità.

Buona domenica nel Signore!








giovedì 10 ottobre 2024

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

LIBERA IL TUO CUORE FACENDO SPAZIO A DIO


L’evangelista Marco pone come obiettivo nella brevità del suo Vangelo non solo l’aspetto di Gesù, Cristo, Figlio di Dio ma la sua sequela. Ci troviamo lungo la strada in ascolto degli insegnamenti di Gesù che narrano anche tante storie della quotidianità.
Questa domenica vediamo la storia di “un tale” che corre pieno di gioia verso Gesù per porgli una domanda di senso, profonda: il desiderio della vita eterna. Che bello vedere questa scena, anche se l’epilogo si presenta triste.
Desiderare la vita eterna, desiderare Dio è scritto nel cuore di ogni uomo, in quanto creatura di Dio e Dio, da parte sua, non finirà mai di attrarre a sé l’uomo, perché lo vuole felice.
L’uomo del Vangelo si presenta schiavo delle sue paure, qualcosa lo affligge e fa una fatica per una scelta giusta nella vita, come succede ai nostri giorni con tanti giovani o con adulti che vogliono vivere una vita spensierata e di divertimento.
Gesù a questo tale risponde elencando cinque comandamenti e un precetto (non frodare) che non riguardano Dio, ma le persone. In altre parole, Gesù non sta chiedendo la fede o come ha creduto in Dio fino a quell’istante, ma come ha amato. Gesù sta dicendo che la salvezza si gioca nei rapporti con gli altri: per la salvezza e la beatitudine futura tutto si decide sull’amore concreto vissuto qui e ora verso gli altri.
La fretta della vita fa rispondere precocemente, tanto da non capire il grande amore di Dio per la sua vita e per la vita di tutti: “Maestro, tutto questo l’ho sempre fatto ma mi sento sempre insoddisfatto!”. Questa persona si sente insoddisfatta perché in lui ci sta una beatitudine dimenticata: “Beati gli insoddisfatti, gli inquieti, beati perché diventeranno cercatori di tesori, mercanti di pietre preziose”. Nonostante tutto, l’incontro che questo “tale” fa con Gesù è pieno d’amore: lo sguardo di Gesù si è posato su di lui, perché anch’egli, a sua volta, possa posare il suo sguardo su quanti incontra nella sua vita. Gesù riconosce che in quella persona vi è una sincera ricerca spirituale e lo aiuta a fare il salto di qualità, lo vuole immettere sulla via della Croce amandolo. Questa è una prima esperienza che si fa quando si incontra Gesù: accorgerci di essere amati per poter amare gli altri.
Gesù rivolgendosi verso il “tale” gli dice che “una sola cosa gli manca”. Gli dice che nel suo cuore Dio è assente, il suo amore è mancante e per farlo capire a tutti, Gesù stesso fa la prova del nove: lo invita a lasciare tutto, a lasciare le proprie ricchezze, per poterlo seguire nella strada di ogni giorno. E qui nasce il problema, che non sono gli altri ma il cuore dell'uomo.
Purtroppo, il cuore di questa persona non è capace di incrociare lo sguardo d’amore di Gesù perché schiavo di un idolo; il Vangelo parla di ricchezze e la ricchezza è tutto ciò che mi lega e di cui ne sono schiavo e che spesso mi piace possedere; tenerla per me senza condividere; per questo quel “tale” del vangelo “si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni”.
Non è la prima volta che Gesù incontra dei ricchi. Ricordiamo Zaccheo, Levi, Lazzaro, Susanna, Giovanna. Questi con le loro ricchezze hanno creato comunione, hanno amato gli altri. Hanno capito che non devono essere schiavi della loro ricchezza ma a saperla condividere, consci che la vera sicurezza non è nell’accumulo ma nella condivisione.
Non sappiamo cosa abbia deciso dopo quel “tale”, certamente è entrato in discernimento per capire cosa vuole fare nella sua vita. Intanto Gesù a chi lo segue fa capire la difficoltà di entrare nel regno di Dio se si rimane legati alle ricchezze e “alzando la posta” per coloro che sono schiavi di se stessi, aggiunge la saggezza popolare del cammello e della cruna dell’ago.
Questa domenica Gesù fa capire che la vera ricchezza è l’amore che puoi donare, l’accogliere l’altro, il denaro che puoi condividere. Quando diamo amore senza nessun tornaconto, ci arricchiamo e contribuiamo a creare la civiltà dell’amore. Quindi la vera ricchezza non è il conto in banca ma il cuore che hai. Entrare nel regno di Dio significa essere poveri in spirito. Seguire Gesù, stare con lui richiede quel liberarsi da quegli idoli che soffocano la vita, che conducono alla morte spirituale e lasciare che lo spirito di Dio agisca nel nostro cuore. Ricordiamoci però che Gesù non scende mai a compromessi: o scegli il potere delle ricchezze facendo a meno di Dio o scegli Lui ma sappi, se scegli Lui, non avrai una vita comoda, perché la vera ricchezza dice Gesù, si concretizza nella Croce che non è una questione di sacrifici ma di amore, un amore che moltiplicherà i cuori, dice Gesù a Pietro, in quanto ricco dell’amore di Dio.
Impariamo allora a liberare il nostro cuore per far spazio alle grandi meraviglie di Dio, sapendo che Lui è presente ed è salvezza operante!

Buona domenica nel Signore a tutti voi!