giovedì 21 settembre 2023

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

ACCOGLIERE LA MONETA DELLA SUA MISERICORDIA


Questa domenica, dopo la correzione fraterna e il perdono, Gesù restando sulla stessa lunghezza d’onda, parla di tutti noi, raccontandoci la parabola sul Regno dei cieli facendolo somigliare a un padrone che esce di casa per assumere lavoratori per la sua vigna.
In questo suo racconto, la cosa inusuale e che sorprende è che questo padrone ha assunto braccianti dall'alba al tramonto, dando a ciascuno la stessa paga: un denaro, l’intera paga giornaliera.
Che ingiustizia diremmo noi!!! Perché gli ultimi per noi hanno bighellonato, non se lo meritano, mentre i primi hanno faticato dalla prima ora. Qui nasce l’invidia e anche battaglie stupide. Dentro di noi vige uno "sguardo ostile" verso l'altro che ci rende ciechi verso il bene altrui, a causa dell’io che prevale sempre. Non siamo capaci di guardarci dentro. Non siamo umili. Continuiamo a guardare l'altro con sospetto e continuiamo, in questo modo, ad avere una coscienza divisa, corrotta, inquinata vivendo, anche inconsciamente, la malattia dell’io o dell’essere primo.
Anche questa domenica la Parola ci disturba, ci inquieta perché ci pone il solito interrogativo per capire se è accettabile il modo di fare del padrone della vigna, in altre parole critichiamo la sua bontà., pur di far prevalere il nostro io. In questo momento quel denaro disturba. Si fa fatica ad accogliere, perché continuiamo a pensare “secondo gli uomini e non secondo Dio” (Mt 8,33).
Ecco il nostro mondo farisaico che va contro Gesù, va contro colui che pensavano che operasse la giustizia e invece fa tutto l'opposto operando un altro genere di giustizia lontano dal nostro modo di pensare e di agire. Ma chiediamoci: il Vangelo è lieta/buona notizia e se è lieta, buona notizia come può disturbarci? Come può disturbarci la salvezza di Dio che raggiunge i cuori nelle varie stagioni della vita?
Purtroppo, il problema di fondo è la stessa domanda che troviamo nel Vangelo "sei tu invidioso perché io sono buono?".
Noi siamo invidiosi di vedere Gesù dalle “maniche larghe e lunghe”. Siamo invidiosi di quest’atteggiamento pieno di bontà del padrone.
Purtroppo, ancora oggi, noi vogliamo prendere il posto di Dio ma senza viscere di misericordia e fare in modo che Dio faccia quello che gli diciamo, anche “terrorizzando” chi ci sta intorno, mormorando e facendo uso dei social per trovare più like possibili alla propria sindrome. Forse non ci accorgiamo, ma i primi ad essere disturbati da Gesù siamo proprio noi che ci definiamo cristiani perfetti. Ecco perché Gesù mette a soqquadro i nostri criteri di valutazione, di retribuzione equa, di giustizia sociale, di merito.
Se ci facciamo caso, gli operai della parabola – quelli che inscenano la mormorazione sulla parità dei salari – non si lamentano perché la paga è insufficiente a vivere dignitosamente, cioè “a misura d’uomo”. Ma si lamentano, invece, perché è dato ad altri come a loro. Essi hanno il gusto borghese del dislivello economico: per star bene bisogna che qualcuno stia peggio di loro. Forse non abbiamo capito che per stare bene bisogna sentirsi non giudicati, non in competizione, non meglio o peggio di qualcun altro. Bisogna sentirsi accettati nella propria soggettività e riconosciuti ed amati in quanto persone.
Quante volte ci mettiamo a giudicare l’altro per quello che sentiamo dire di lui, scartandolo così dalla misericordia del Padre? e magari ci arrabbiamo col sacerdote che in quel momento si sta comportando come si comporterebbe Gesù e poi torniamo a mani giunte e fare la comunione eucaristica, quando proprio in quel momento non sono in comunione con l’amore di Dio ma semplicemente siamo in contrasto fra il nostro occhio malato e la sua bontà.
Il Padre, infatti, non fa quello che desideriamo noi o quello che gli passa per primo per la testa, ma ciò che è giusto: "vi darò quello che è giusto". Il Padre si comporta secondo l’etica della bontà, mentre l’incauto liberista segue l’etica dell’invidia e il “giusto” di cui parla è Cristo Gesù. Egli ci dona la salvezza attraverso Cristo Gesù.
In questa “vigna” c'è spazio per tutti, la conversione è per tutti, perché lo spazio della vigna siamo noi stessi e l’ultimo non è da scartare perché in quell’ultimo ci siamo noi, l’ultimo è il primo ad entrare nel Regno dei cieli. Il primo è sempre Gesù che sempre mostra la passione infinita di Dio nel cercarci continuamente. È inutile essere invidiosi, sentirsi primi, mettere al centro il proprio io, c'è la necessità di educarci a vedere l'altro in maniera diversa, assumendo il modo di vedere di Cristo Gesù, interiorizzando il suo sguardo che è sguardo di amore verso l'altro.
La chiave per capire il messaggio della parabola è questo: rinunciare ad essere grandi o primi per diventare ultimi o piccoli, accettare che l'ultimo riceva quanto il primo, accogliere Dio che viene a dilatare gli spazi del nostro cuore. Il Regno è un dono gratuito, una grazia da accogliere e che Gesù è venuto a portare donando a tutti l’amore salvifico del Padre, mostrando le sue viscere di misericordia, di compassione.
Tutti siamo chiamati ad accogliere la moneta della sua misericordia, della sua salvezza per trovare in Lui il senso ultimo e pieno della propria vita.
Sentiamoci amati da Dio, amiamoci e amiamo!

Buona domenica nel Signore a tutti voi!




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giovedì 14 settembre 2023

XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

PERDONARE PERCHÈ PERDONATI!


Domenica scorsa, se ricordiamo, la Parola ci invitava a riflettere sulla dinamicità del perdono nella Comunità. Questa domenica, XXIV del Tempo Ordinario, continua questa dinamicità dandole le motivazioni. Per questo la liturgia della Parola è particolare per quanti si sentono bisognosi di essere accolti, consolati, perdonati. Anche se questa Parola di vita si scontra con quanti si sentono a posto con la coscienza, con quanti sostengono di non peccare mai e di non aver bisogno del sacramento della riconciliazione, di confessarsi perché risolvono il problema con un semplice atto di dolore. Quindi è il caso di dire, insieme all’evangelista Matteo, che l’impegno cristiano è quello di seguire le orme dell’unico e grande Maestro: Gesù Cristo che incarna in sé stesso il sacramento del perdono.
Già domenica scorsa si diceva di superare una visione moralista della Parola che confonde la bontà del perdono con il buonismo che lava tutto o per dirla con quella filosofia romana: “volemose bene” o perdonare cercando delle condizioni. Diciamocelo in faccia: non è facile perdonare, perché certi magoni continuano a bruciare il cuore, perché non accettiamo l’umiliazione sulla nostra debolezza. Facciamo fatica a perdonarci, figuriamoci perdonare gli altri.
Quanti di noi continuano a dire: “Perdono, ma non dimentico!”. E continua nel cuore a brulicare rancori, tensioni, opinioni diverse, affronti, offese, provocazioni e quanto rende difficile il perdono e la riconciliazione. Il nostro perdono deve essere instancabile, così come ci rivela la prima lettura di questa domenica presa dal Libro del Siracide ed è forse questo che ci costa di più.
Spesso, riusciamo a mala pena a perdonare l’altro, facendo peraltro capire che non deve però farlo un’altra volta come se fossero le monellerie di un bambino.
Ci risulta molto difficile perdonare sempre di nuovo, come se fosse la prima volta; ci risulta molto difficile avere abbastanza pazienza e abbastanza amore per guardare sempre con la stessa fiducia quella persona a cui bisogna perdonare diecimila volte la stessa cosa. Quindi se quella volta perdoniamo è solo di facciata perché il nostro cuore è fatto così: noi poniamo sempre limiti all’amore, così come fece Pietro: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». Ma Gesù come a Pietro risponde ancora oggi così: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette».
Vedete: anche Pietro con quest’espressione, afferra il messaggio di Gesù ma dimostra che fa fatica ad andare oltre quel semplice perdono del tempo limitato a una azione quantitativa. Gesù invece lo spinge a una azione qualitativa.
Il Vangelo di oggi, invece partendo da noi stessi, ci spinge a questa qualità del perdono invitandoci a perdonare come noi siamo perdonati da Dio.  Questo è molto difficile perché siamo quelli che cercano i 100 danari più che i 10.000 talenti, cioè l’amore infinito di Dio. Occorre guardarsi dentro, perdonarsi per perdonare, allora arriva il perdono. Diversamente saremo spiritualmente paralizzati pur pensando di stare a posto con la propria coscienza o con i propri rosari e S. Messe.
Allora che cos’è il perdono di cui parla Gesù? Non è una questione di magnanimità ma quella disponibilità del cuore per risollevare chi è pentito del suo errore, del suo peccato e rimetterlo in carreggiata senza accusarlo. Il perdono è una realtà che totalizza tutta l'esistenza. Non ne puoi fare a meno. Il perdono è come il raggio di sole che illumina la vita e riscalda il cuore o se raggiunge il tuo orto o il tuo giardino, tutto ne è vivificato. A meno che da qualche parte ci siano grosse coperture di plastica che sottraggono il suolo alla sua azione salutare. Che sottraggono la gioia del perdono. E quante “coperture di plastica” dobbiamo eliminare dalla nostra vita spirituale?
Il Vangelo ci mostra l’infinito amore di Dio, ci mostra il suo Volto in quell’immagine dei 10.000 talenti. Una cifra molto sproporzionata per indicarci quanto sia grande il nostro debito verso Dio, che tuttavia ci viene condonato, mentre il debito che a noi sembra grandissimo è solo quello che scriviamo sul nostro registro delle offese (100 danari). Con Dio ho il debito di me stesso e di Lui stesso! Solo che non è un debito ma un dono infinito che Lui ci ha fatto, senza misura. Infatti, l’unica misura dell’amore è il non aver misura.
Noi al contrario continuiamo a calcolare con Lui e con tutti! Perdonare allora significa “ricordarsi per dimenticare” come dice il profeta Geremia: “io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31,34).
Allora il perdono è un conservare la possibilità di rapporti aperti verso coloro che hanno chiuso con noi, con coloro che ci hanno fatto del male. In questo senso, perdonare si traduce in imitazione di Dio misericordia che non ha misura perché in Cristo Gesù il Padre ha donato tutto e tutto continuerà a donarci.
Concludendo, Gesù ci lascia alla riflessione personale: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?».
Essere discepoli nella comunità di Gesù non vuol dire avere un semplice “a tu per tu con Dio”, ma vuol dire, come dice il Vangelo, “avere viscere di misericordia”, vivere l'amore compassionevole del Padre verso ogni fratello e sorella perché in lui o in lei ci sono le sembianze di Dio e quindi degni di essere amati in modo incondizionato.

Buona domenica nel Signore a tutti voi!





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