mercoledì 12 novembre 2025

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

NELLA ATTESA DELLA SUA VENUTA


Siamo alla penultima domenica dell’anno liturgico e la liturgia ci propone un brano dal linguaggio apocalittico, escatologico.
Quando noi sentiamo un linguaggio apocalittico pensiamo ai cataclismi naturali, alla fine del mondo, un po’ come è successo per i discepoli del Vangelo. Poi ci aggiungiamo anche le sette i documentari e i film, che aggiungono la loro versione e ci convinciamo che la parola apocalisse significa proprio questo e di conseguenza, per queste ragioni, viviamo una vita angosciata, paurosa, pessimista come se veramente, quanto ci circonda, fosse la fine del mondo. E invece no! Il linguaggio apocalittico non intende annunciare la fine del mondo, ma il fine della storia umana, rivelare il senso della storia alla luce del disegno salvifico di Dio.
Nel Vangelo, attraverso i discepoli, vediamo che ci lasciamo avvolgere da ciò che è mondano senza cercare, autenticamente, il Regno di Dio. Per questo Gesù, senza indietreggiare di un passo, dice: «badate di non lasciarvi ingannare». Cioè state attenti: tutto ciò che ai nostri occhi appare bello, stabile è destinato a crollare e questo succede e succederà in tutte le epoche, ma la Parola del Signore rimane è stabile per sempre (cf. Sal 119). Per questo come san Pietro noi possiamo, sulla Parola del Signore, gettare le nostre reti (cf. Lc 5,5) e avere uno sguardo verso l’obiettivo finale: la salvezza. Del resto, la vita cristiana è storia di salvezza, al di là di quanto possa accadere. Allora non pensiamo alla fine del mondo.
Ricordo un anziano che un giorno, al suono del campanello della porta si affacciò dalla finestra e vide due testimoni di geova che gli chiesero: “lei sa che deve finire il mondo?”. L’anziano nella sua saggezza rispose: “sì, che lo so: quando io morirò finirà il mondo”.
Con questo cosa voglio dire? Che Gesù non si preoccupa assolutamente sulla fine del mondo, ma in ogni avvenimento ci invita a vivere con fiducia e speranza. Infatti, quanto accade a livello personale o collettivo, sono fatti inevitabili che possono trasformarsi in luogo dove la fede si purifica e la speranza si rafforza.
Quando san Giovanni Bosco chiese al giovane Domenico Savio, mentre stava giocando, cosa avrebbe fatto se avesse saputo che all'istante ci fosse stata la fine del mondo, questi gli rispose: “Continuerei a giocare”. San Domenico Savio nella sua semplicità non gli interessava la fine del mondo o come si sarebbe evoluto l’epilogo finale della storia del mondo, ma era pronto in qualsiasi momento a realizzare la volontà di Dio secondo la sua vocazione. Senza nulla da perdere e nulla da temere. Questo suggerisce di vivere e coltivare una spiritualità del quotidiano che è il luogo del culto esistenziale che è «lo spazio della fede, la scuola della sobrietà, l'esercizio della pazienza, il salutare smascheramento delle parole pesanti e degli ideali fittizi, l'occasione silenziosa per amare ed essere fedeli in modo autentico, la prova dell'obiettività, che è il seme della sapienza più alta» (Karl Rahner). Anche Gesù visse del e nel quotidiano, dove ha pregato e riconosciuto la presenza del Padre.
Facciamolo anche noi nutrendoci del Vangelo che parla di Gesù e della sua umanità. Viviamo sempre il presente, impegnandoci a costruire ogni momento la civiltà dell’amore, incentivati dal Bene Ultimo che è Cristo Gesù.
«Nella vostra perseveranza salverete le vostre anime», cioè, «le vostre vite». La vita si salva non bighellonando ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro perché la vita ce l’abbiamo non per noi stessi ma perché sia dono per l’altro. Perché possiamo costruire con amore, con tenacia, con umiltà una società all’insegna della fraternità e della giustizia secondo Dio.
Quindi perseveriamo fino alla fine per ottenere la salvezza, senza lasciarci distogliere da false scorciatoie di realizzazione della vita, ma esercitiamo la costanza, la pazienza, la determinazione e la continua buona battaglia con cui si conserva la fede per guadagnare la corona di giustizia che il Signore ci darà nell’ultimo giorno (2Tm 4, 7-8).
Il cristiano è l'uomo di oggi che, nonostante le piaghe del mondo, cammina con perseveranza, che vive obbediente e perseverante nella Parola per avvicinarsi sempre più a Dio. Abbraccia le proprie e altrui croci per presentarle al Padre misericordioso perché le trasformi in amore.
La nostra preghiera, la nostra Eucarestia domenicale, quindi, deve essere quest’impegno per rafforzare la nostra vita come dono, camminando nella perseveranza e nella fedeltà al compito che il Signore ci ha affidato nel trasformare questo nostro mondo, liberandolo da ogni inganno, da ogni violenza.
In tutto questo non mancherà la persecuzione. Noi continuiamo a vivere le profondità dello Spirito che abita in noi e preghiamo.
Preghiamo perché possiamo vivere il nostro tempo non da curiosi o da fuggiaschi; il Vangelo odierno ci vuole mettere in una strada seria con le sue sfide autentiche anche fatte di tribolazioni. È un tempo in cui ci prepara a usare lo stile di Dio: lo stile dell’amore, che non appartiene alla mondanità, ma a Dio, Signore del tempo e della storia.

Buona domenica nel Signore a tutti voi!