PER OGNI FINE C'È UN NUOVO INIZIO
Siamo agli sgoccioli dell'anno liturgico per poi
celebrare la solennità di Cristo Re. Di solito al termine di un anno si cerca
di raccogliere ciò che è stato nella nostra vita, una vita che, ai nostri
giorni, ha perso il suo valore, perché ha perso Dio. Troviamo, infatti, la vita
relativizzata e insieme al suo relativismo, anche i cambiamenti climatici ci
sconvolgono che ci fanno pensare a episodi apocalittici.
La Parola di Dio invece, facendo uso di un linguaggio apocalittico, ci aiuta a non sconvolgerci, a non scoraggiarci ma di porre sempre più fiducia in Dio. Certo, è facile quando si usa il termine apocalisse di pensare alla fine del mondo. Come del resto è più facile disperare che sperare.
Ma che cos’è quest’aggettivo che al solo pensiero ci spaventa? È una parola greca che vuol dire “togliere il velo”. Ed è quello che Gesù vuole fare: “togliere quel velo” che impedisce il senso di quanto sta accadendo. Infatti, la parola apocalisse più che la fine vuole indicare il fine, più che l'oscurità vuole illuminare, più che desolare vuole consolare. Purtroppo, nelle pagine del Vangelo troviamo un Gesù angosciato: «Il figlio dell'uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8) e quest’angoscia è ancora ai nostri giorni perché la nostra fede è a rischio estinzione. C’è bisogno di radicarsi sempre più a Cristo e alla sua Parola, perché Lui è il cuore della fede cristiana: Gesù Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo per salvarci.
Non è facile, però, tra le fatiche e le angustie della vita tenere sempre accesa la fiamma della fede, quella stessa fede che ci è stata donata nel giorno del nostro battesimo. Non è facile vivere la battaglia della fede. La vita di fede richiede sforzo, fatica, lotta ma anche sofferenza.
Rimuovere tutto questo dalla vita di fede è una tentazione. La fede è semplice, ma non facile. San Paolo esorta a «combattere la buona battaglia della fede» (1Tm 1,18) e la definisce “bella”, perché contiene del positivo, è una battaglia diversa da quelle mondane, lontana da certe ideologie o contese che si trovano tra persone o gruppi vari. La fede ci fa fare una battaglia legittima facendo uso delle armi spirituali contro il peccato e contro il maligno e non contro uomini o con armi e mezzi mondani.
Ecco perché Gesù, questa domenica, vuole rincuorarci più che sconvolgerci, indirizzare la nostra vita e non risolvere enigmi della quotidianità. Per questo la celebrazione liturgica, riprendendo le parole del profeta Geremia, si apre all’insegna della speranza: «io ho progetti di pace e non di sventura» (Ger 29,11). Quindi non la fine del mondo ma il suo nuovo inizio, cioè quel fine verso cui il mondo procede, quel fine verso cui la nostra stessa vita procede, il compiersi di ogni speranza al di là e al di sopra di ogni attesa, in una pienezza che nessuno osa immaginare.
In questo mondo siamo un po' tutti fragili. L’Evangelista cita il sole, la luna, le stelle quegli astri che nel mondo pagano erano divinizzate e che poi sono caduti. Oggi la nostra vita necessità la caduta di tanti idoli che ci portiamo dentro e fuori e sarà così perché Dio non verrà mai meno. Per questo Gesù aggiunge «il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mc 13,31). La Parola di vita è ciò che rimane. Il punto di appoggio per la nostra fragilità sarà sempre l'amore di Dio per noi e non l'idolatria, quella stessa idolatria di cui Gesù stesso dice che cadrà, avrà fine confermando che la vita continuerà a scorrere, che la creazione continuerà a sgorgare da Lui, perché Lui è al centro di tutto. Il Vangelo sempre veniente va atteso, invocato e ascoltato perché ci dona quella speranza in Colui che tutto può e che con la sua morte ci ha dato la vita (Gv 10,10). Quindi «le mie parole non passeranno» vuol dire credere che la vita di Gesù ha qualcosa da dire alla nostra vita, vuol dire che fidarsi di Gesù è più saggio che fidarsi di qualsiasi altra cosa mondana. Vuol dire che nella nostra fragilità, dobbiamo farci trovare pronti, saldi nella fede. Le prime comunità cristiane capirono, nella loro fragilità, il senso di stare saldi nella fede per questo pregavano con queste parole: «Vieni Signore Gesù!». Ed era, e lo è anche per noi, il leitmotiv per continuare la “buona battaglia della fede” e nel frattempo contemplare il volto del Signore in ogni avvenimento della vita, pensando fin da adesso «a quel giorno e a quell'ora» carico di attesa vigile ed operosa, riposta fiduciosamente nelle mani del Signore.
Alla vigilia dell’apertura dell’Anno Giubilare abbiamo un motivo in più per riprendere in mano il senso del nostro essere cristiani e di confrontarci con la Parola di Dio. La stessa Parola di Dio che ci dice di non scoraggiarci davanti a certe situazioni, ma di andare avanti costruendo ogni giorno il Regno di Dio.
Ogni giorno c'è bisogno di conversione, di fede e di profezia (non come annunzio di sventura). C'è bisogno di non perdere mai di vista le ultime realtà della nostra esistenza ed è importante non tralasciare la preghiera, perché il Signore accresca in noi la fede, ravvivi la speranza e ci renda operosi nella carità.
La Parola di Dio invece, facendo uso di un linguaggio apocalittico, ci aiuta a non sconvolgerci, a non scoraggiarci ma di porre sempre più fiducia in Dio. Certo, è facile quando si usa il termine apocalisse di pensare alla fine del mondo. Come del resto è più facile disperare che sperare.
Ma che cos’è quest’aggettivo che al solo pensiero ci spaventa? È una parola greca che vuol dire “togliere il velo”. Ed è quello che Gesù vuole fare: “togliere quel velo” che impedisce il senso di quanto sta accadendo. Infatti, la parola apocalisse più che la fine vuole indicare il fine, più che l'oscurità vuole illuminare, più che desolare vuole consolare. Purtroppo, nelle pagine del Vangelo troviamo un Gesù angosciato: «Il figlio dell'uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8) e quest’angoscia è ancora ai nostri giorni perché la nostra fede è a rischio estinzione. C’è bisogno di radicarsi sempre più a Cristo e alla sua Parola, perché Lui è il cuore della fede cristiana: Gesù Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo per salvarci.
Non è facile, però, tra le fatiche e le angustie della vita tenere sempre accesa la fiamma della fede, quella stessa fede che ci è stata donata nel giorno del nostro battesimo. Non è facile vivere la battaglia della fede. La vita di fede richiede sforzo, fatica, lotta ma anche sofferenza.
Rimuovere tutto questo dalla vita di fede è una tentazione. La fede è semplice, ma non facile. San Paolo esorta a «combattere la buona battaglia della fede» (1Tm 1,18) e la definisce “bella”, perché contiene del positivo, è una battaglia diversa da quelle mondane, lontana da certe ideologie o contese che si trovano tra persone o gruppi vari. La fede ci fa fare una battaglia legittima facendo uso delle armi spirituali contro il peccato e contro il maligno e non contro uomini o con armi e mezzi mondani.
Ecco perché Gesù, questa domenica, vuole rincuorarci più che sconvolgerci, indirizzare la nostra vita e non risolvere enigmi della quotidianità. Per questo la celebrazione liturgica, riprendendo le parole del profeta Geremia, si apre all’insegna della speranza: «io ho progetti di pace e non di sventura» (Ger 29,11). Quindi non la fine del mondo ma il suo nuovo inizio, cioè quel fine verso cui il mondo procede, quel fine verso cui la nostra stessa vita procede, il compiersi di ogni speranza al di là e al di sopra di ogni attesa, in una pienezza che nessuno osa immaginare.
In questo mondo siamo un po' tutti fragili. L’Evangelista cita il sole, la luna, le stelle quegli astri che nel mondo pagano erano divinizzate e che poi sono caduti. Oggi la nostra vita necessità la caduta di tanti idoli che ci portiamo dentro e fuori e sarà così perché Dio non verrà mai meno. Per questo Gesù aggiunge «il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mc 13,31). La Parola di vita è ciò che rimane. Il punto di appoggio per la nostra fragilità sarà sempre l'amore di Dio per noi e non l'idolatria, quella stessa idolatria di cui Gesù stesso dice che cadrà, avrà fine confermando che la vita continuerà a scorrere, che la creazione continuerà a sgorgare da Lui, perché Lui è al centro di tutto. Il Vangelo sempre veniente va atteso, invocato e ascoltato perché ci dona quella speranza in Colui che tutto può e che con la sua morte ci ha dato la vita (Gv 10,10). Quindi «le mie parole non passeranno» vuol dire credere che la vita di Gesù ha qualcosa da dire alla nostra vita, vuol dire che fidarsi di Gesù è più saggio che fidarsi di qualsiasi altra cosa mondana. Vuol dire che nella nostra fragilità, dobbiamo farci trovare pronti, saldi nella fede. Le prime comunità cristiane capirono, nella loro fragilità, il senso di stare saldi nella fede per questo pregavano con queste parole: «Vieni Signore Gesù!». Ed era, e lo è anche per noi, il leitmotiv per continuare la “buona battaglia della fede” e nel frattempo contemplare il volto del Signore in ogni avvenimento della vita, pensando fin da adesso «a quel giorno e a quell'ora» carico di attesa vigile ed operosa, riposta fiduciosamente nelle mani del Signore.
Alla vigilia dell’apertura dell’Anno Giubilare abbiamo un motivo in più per riprendere in mano il senso del nostro essere cristiani e di confrontarci con la Parola di Dio. La stessa Parola di Dio che ci dice di non scoraggiarci davanti a certe situazioni, ma di andare avanti costruendo ogni giorno il Regno di Dio.
Ogni giorno c'è bisogno di conversione, di fede e di profezia (non come annunzio di sventura). C'è bisogno di non perdere mai di vista le ultime realtà della nostra esistenza ed è importante non tralasciare la preghiera, perché il Signore accresca in noi la fede, ravvivi la speranza e ci renda operosi nella carità.
Buona domenica nel Signore a tutti voi!