giovedì 4 settembre 2025

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

CRISTIANI INNAMORATI


La Parola di Dio di questa XXIII domenica del tempo Ordinario ci fa fare ancora una sosta per riflettere sul senso della nostra vita, della nostra esistenza; per vedere se siamo capaci di mettere al primo posto Dio, sopra ogni cosa.
Nel Vangelo ci scontriamo con il volto duro di Gesù, non per un rimprovero, schiacciarci più di quanto lo possiamo essere, ma per una sana introspezione della vita e indurci così alla conversione.
Ora questo sguardo è rivolto verso ciascuno di noi, noi che con i nostri limiti cerchiamo di seguirlo, abbiamo fatto amicizia con lui, con quello stesso entusiasmo della folla del Vangelo, entusiasmo però smontato da Gesù stesso: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo».
Da queste parole capiamo quanto Gesù sia esigente, radicale nelle richieste. Forse in questo momento siamo come quel tale del Vangelo che a una richiesta esigente, radicale di Gesù si fece triste in quanto la sua vita era troppo sicura di sé, troppo radicata in sé stesso e nelle proprie cose (cf. Mc 10,17-30). Magari ci viene facile recitare qualche preghiera di tanto in tanto, se ce le ricordiamo, magari partecipiamo una volta al mese alla preghiera con un gruppo carismatico, e piano piano siamo anche arrivati a non credere nei sacramenti, ad attaccarci alla superstizione, anche religiosa, preferendo più le cose del mondo e non quelle di Dio. Atteggiamenti che, forse, mettono per un momento la coscienza in pace, senza però dare senso a una scelta concreta e se per un momento sentiamo un po’ di pace subito svanisce in quanto ci siamo girati dall’altra parte, tradendo, perché il cuore non era in Dio ma nelle cose terrene, in una felicità priva di senso. Ci attacchiamo infatti a ciò che ci dice la società o l’evento del momento. Ma questi ci insegnano ad avere non ad essere, ci insegnano a comprare, non a comprendere, a possedere cose e persone anche fino a ucciderle, invece di scoprire chi siamo davvero e che la vita è un dono da vivere bene e nell’amore.
In questa società nessuno ti dice che dopo quello che hai ottenuto quanto volevi, puoi ancora sentirti profondamente infelice in quanto non hai uno scopo, non stai in realtà vivendo. La felicità non è quel picco di euforia ma è pace interiore che ti accompagna, è donare sé stessi, è sapere che stai costruendo qualcosa che vale, anche se nessuno lo vede e lo applaude, così come è successo a Gesù.
Ci siamo dimenticati che siamo figli di un Dio che ci ha redento e, dimenticando, rimaniamo attaccati a noi stessi e incapaci di rinunciare a qualsiasi sicurezza personale per vivere Dio. Diciamo di amare Dio a parole ma non coi fatti e nella verità.
Quindi la richiesta di Gesù va alla radice del nostro essere, va dritto al nostro cuore dove troveremo la vera risposta, quella di un amore che ci distacca da noi stessi e che abbraccia tutto e tutti rendendoci liberi. Per essere liberi, è importante essere innamorati di Cristo Gesù, perché la forza dell’amore rende l’amato più importante della nostra vita. Noi, infatti, non siamo seguaci di una dottrina ma degli innamorati di Cristo Gesù. Chi non è innamorato di Gesù e del Vangelo che Egli ha portato in mezzo a noi, farà sempre fatica ad accogliere il suo messaggio e imparerà a spese proprie che la felicità non si compra ma si conquista, che non è fatta di lusso ma di significato.
Gesù però pone ancora una condizione per seguirlo: «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». Queste parole non riguardano le difficoltà inevitabili di ogni giorno, i problemi che si riscontrano in famiglia, al lavoro, la fatica di ogni giorno o una malattia da sopportare. Nel Vangelo la parola “croce” contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù, una vicenda da assumere e abbracciare fino in fondo, disposti anche a perdere se stessi per amore suo, come farebbe un vero innamorato: amare fino in fondo, perché questa è l’immagine del “portare la croce”: portare il Cristo Crocifisso. Del resto «noi portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,10) e quando si ama così, con Gesù si è capaci di essere Parola di Dio vivente, anche quando la nostra società mette tutto a tacere condannando e uccidendo, perché si è un nuovo "Simone di Cirene", si è croce viva. Questo è il significato che diamo e che si deve dare ogni volta che ci tracciamo col segno di croce segno che conferma questa verità di fede.
Possiamo concludere dicendo che con questo discorso Gesù vuole fare una sorta di pulizia dei “follower inutili”, un po’ come sui usa si social o con le app del cellulare.
Chissà se Gesù ha già fatto pulizia di questi “follower inutili” e se dentro questa cerchia ci siamo anche noi che a parole ci diciamo discepoli, non lo mettiamo a primo posto e non vogliamo portare la croce?
Ecco allora l’importanza del discernimento, descritto nelle due parabole, una chance che Gesù ci dona e che è da cogliere al volo, perché possiamo avere buon senso, piedi per terra e possiamo fare scelte coraggiose per essere quel sale che dona sapore alla vita, per essere testimoni dell’amore con la nostra vita del nostro essere cristiani, discepoli di Cristo Gesù!

Buona domenica nel Signore a tutti voi!