sabato 12 luglio 2008

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


In questa domenica il Signore cerca di farsi capire e per farlo, usa le parabole.
Gesù privilegia spesso la scelta strategica della “parabola” per rivolgersi ai suoi ascoltatori.
Nel vangelo di questa domenica, Gesù lo dichiara all’inizio del testo, poi lo conferma con i diversi versetti collocati non a caso al centro della narrazione, con i quali spiega il senso profondo dell’utilizzo del genere letterario della “parabola”. Gesù spiega che la parabola è usata con lo scopo di scuotere e provocare; chi ascolta il racconto non può rimanere comunque impassibile e indifferente come se il contenuto della parabola non lo riguardasse.
In questa Parola domenicale c'è il "neverending story" di ogni giorno con la sua speranza che rischia di essere perduta, soffocata: gli uccelli mangiano il seme; il terreno pietroso gli impedisce di mettere le radici; le piante spinose lo soffocano... tutto segue il suo corso disperante. Tuttavia, in questa storia, Dio annuncia il suo “ma”.
Nella parabola del seminatore si incontra anche il "neverending story" di Dio con il suo “ma”: ove in una terra buona produce e porta i suo molteplici frutti.
Dal vangelo odierno viene l'immagine di un Dio che vuole essere il fecondatore infaticabile delle nostre vite, mano che dona, forza che sostiene, voce che risveglia. Lui è la certezza che domani io sarò più vivo. Per merito dei suoi semi in me, al tempo stesso campo di sassi e di spine, terra buona e cuore calpestato. Dio è come la primavera del cosmo, noi come l'estate profumata di frutti. Attraverso di me Dio moltiplica frutti e vita, in me tuttavia si può interrompere il corso delle sue meraviglie.
La parabola non racconta di un contadino maldestro nel suo lavoro, racconta una fiducia: verrà il frutto, il piccolo seme avrà il sopravvento. Contro tutti i rovi e le spine, oltre i sassi e i passanti, c'è sempre una terra che accoglie e che fiorisce. E anche se la risposta per tante volte è negativa, alla fine spunterà il germoglio. Anche in me, che sento il peso dei miei no, e il ritardo di frutti che non maturano; in me, terreno di rovi e pietre, di passi perduti e di rapaci. Perché la forza è nel seme e non tornerà a me, dice il Signore, senza aver portato frutto (Isaia 55,11).
Noi siamo chiamati ad essere contadini della Parola, a diffonderla, con l'ostinazione fiduciosa della parabola; questa fiducia deve essere una forza ma non in me, ma nella Parola. La stessa mia vita deve essere un Vangelo vivente per predicare la vita di Dio che abita la più piccola delle sue parole.
Non è facile portare la Parola di Dio, tentiamo allora con tutte le nostre forze di farlo e preghiamo perché la stessa Parola ci plasmi agli occhi di tutti



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