sabato 8 novembre 2008

DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE

Un caro saluto a te che leggo quanto scrivo!


Celebriamo in questa domenica XXXII del Tempo Ordinario, la festa della dedicazione della Basilica di san Giovanni in Laterano: la cattedra del papa.
Celebrare questa festa non ci riporta in un semplice ricordo di un tempio costruito con mani d'uomo, ma al tempio spirituale. Infatti, in qualche modo, questa celebrazione richiama alla maternità spirituale di ciascun battezzato: una maternità da vivere nella vita di tutti i giorni. La Parola di Dio che ci offre la liturgia odierna ci richiama, sì, al tempio fatto di pietra, ma arrivati alla lettura del Vangelo si passa da un tempio fisico ad un tempio spirituale, proprio quello che san Paolo anticipa nella seconda lettura.
Il Vangelo ci fa incontrare una scena particolare fatta nel "mercato del tempio". Soffermarci a pensare che il luogo fisico sia citato da Gesù come "la casa del Padre" ci porta a una serie di riflessioni. Io e il Tempio, casa del Padre. Stranamente tutta quella gente che faceva del tempio un mercato si trovava nel tempio per svolgere un "servizio" riconosciuto dalla stessa Legge. Se si dovevano fare dei sacrifici animali doveva pur esserci qualcuno che riforniva i fedeli di animali. Eppure a Gesù non piace! Ma allora cosa disturba Gesù, tanto da farlo adirare?
Certamente il baccano di un mercato non può assolutamente sussistere con il luogo del dialogo dell'uomo con Dio, oggi magari lo sostituiamo col cellulare... Sarebbe appena il caso di interrogarci come viviamo e rispettiamo anche in questo senso il luogo fisico. Ma si può e si deve andare oltre perché c'è il Tempio che è il Corpo di Cristo e c'è il Tempio che è il corpo del cristiano. Sì, il nostro corpo è tempio di Dio: noi lo abbiamo completamente dimenticato, ne abbiamo fatto la casa del mondo. Persino la nostra religiosità, il nostro modo di ricercare Dio è diventata una compravendita. Sembra che il nostro corpo è un luogo che non appartiene più a Dio ma a noi stessi e ai desideri della carne. Non è che bisogna avere delle particolari lenti di ingrandimento per renderci conto di come abbiamo ridotto ad oggetto di consumo i nostri corpi e quello dei nostri prossimi. L'uomo d'oggi non riesce più a sentire e a vivere l'appartenenza a Dio anche nella propria fisicità. C'è un mortale e perverso allontanamento fra quanto professiamo e quanto viviamo. E' chiaro ed evidente che il maligno ha lavorato e lavora alacremente e noi spesso lasciamo fare, spesso taciamo o parliamo a bassa voce, quasi che ci vergognassimo. Poi tutti insieme ci troviamo a "raccogliere i cocci", peraltro non più attaccabili in nessuna maniera, di famiglie, di intere generazioni di giovani, di modelli educativi, delle nostre città.
La verità è che quello che abbiamo costruito o lasciato costruire è un modello di vita senza Dio e dopo tutto quello che sta accadendo alle nostre famiglie. Oggi più che mai si ripete l'invito, come lo fu per san Francesco: vai, ripara la mia casa. Francesco ha capito di cosa si trattava e l'ha fatto. E noi?


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