lunedì 6 luglio 2009

Martedì XIV settimana del Tempo Ordinario

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!



Con questo brano si chiude la seconda sezione della chiamata di Matteo, quella dei miracoli.
Il brano odierno inizia col presentare a Gesù un muto (vedi Mt 9,32-38) al quale viene ridonata la parola.
Qui l'evangelista sottolinea che quel presentare a Gesù l'uomo muto indica proprio il mutismo della nostra fragile fede. Possiamo chiederci: a che punto sta la nostra fede? Vive ancora nel quieto mutismo? Qui abbiamo la grande sfida del Vangelo che il Signore ci sollecita ad accogliere, cuore a cuore con la sua Parola, alimentando nell'ascolto il desiderio di essere liberati dal male.
Sì, anche la nostra fede sperimenta balbuzie e silenzi deliberati dell'anima, frutto di sfiducia e di consenso superficiale alla fede. Quasi un bavaglio stretto alla bocca del cuore che via via diventa facile preda della tentazione fino a consegnarci miseramente all'azione del maligno.
Solo in un abbandono all'azione dello Spirito che irrompe sulla nostra incomunicabilità abilitandoci all'uso della parola, pronunciata e ascoltata in sintonia con la Parola stessa di Dio, possiamo ritrovare la via del ritorno.
Il vangelo continua dicendo che Gesù andava predicando di villaggio in villaggio. Così si afferma nel mondo il Regno di Dio; è la vittoria di Cristo sul male, in ogni sua manifestazione, e la liberazione dalle seduzioni e invasioni del demonio. Tutto mira a ridare libertà all'uomo da ciò che l'affligge nell'anima e nel corpo. Per questi Gesù ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore.
Gesù si commuove guardando la folla che lo segue. Non si possono leggere queste espressioni senza riflettere profondamente "tanto più che il verbo greco usato qui splanchnizò è riservato nei vangeli al solo Gesù o ai personaggi di alcune parabole che simboleggiano il Cristo o il Padre. Questo verbo risponde all'ebraico raham e indica una compassione così forte che prende le viscere".
Davvero è il compassionevole, l'unico che sa commuoversi sulle folle di questo mondo, l'unico che pensa anzitutto a loro e non ai propri interessi personali.
L'evangelista legge nello sguardo del Maestro la partecipazione al disagio di quella folla abbandonata, "senza pastore". Più volte il Papa ha denunciato il relativismo come il male del nostro tempo, mentre Gesù proclama che "la verità ci farà liberi". E' necessario un "buon pastore" con il quale molto spesso Gesù si identifica. Un pastore che conosce le sue pecore ad una ad una e "che conduce pian piano le pecore madri e porta gli agnellini sul petto".
Ecco allora una condizione indispensabile affinché il regno di Dio si estenda ovunque: "Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe". In questo contesto comprendiamo l'urgenza della preghiera perché i chiamati alla vigna, gli operai per il regno di Dio, rispondano con sollecitudine e generosità, comprendiamo l'importanza dell'impegno che viene loro affidato.
Il campo, la vigna, il regno, la chiesa richiedono il nostro indispensabile contributo personale di energie da spendere senza riserva. La preghiera che facciamo è adesione al piano di salvezza di Dio e presa di coscienza della chiamata a collaborare responsabilmente per la sua realizzazione.
Preghiamo così: Padre santo, che liberi l'umanità dal dominio del male, fà che la memoria della morte e risurrezione di Gesù ci aiuti ad essere operai fedeli nella costruzione del tuo regno.