giovedì 20 agosto 2009

21 Agosto: San Pio X

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Celebriamo oggi la festa di san Pio X, "il Signore lo ha scelto come sommo sacerdote, gli ha aperto i suoi tesori, lo ha colmato di ogni benedizione" (dalla liturgia).
Il Vangelo odierna continua a mirare a "mettere alla prova" il Signore. Questo da parte degli scribi e dei farisei. Si ritenevano arbitri infallibili e insindacabili nei loro giudizi e nelle loro interpretazioni della legge e di conseguenza, ritenevano di poter giudicare lo stesso Cristo (vedi Mt 22,34-40).
Quante volte ancora oggi giudichiamo? Quante volte puntiamo il dito? Quante volte giudichiamo il comportamento di Cristo? Quante volte giudichiamo i suoi ministri facendo di tutta l'erba un solo fascio o distinguendo Chiesa da Cristiani... Anche senza volerlo, senza accorgerci.
L'evangelista ricorda che tutte queste dispute sono domande che sono sempre indirizzate a Gesù in quanto «Maestro» (rabbì), questo titolo dice al lettore la comprensione che gli interlocutori hanno di Gesù. Ma Gesù coglie l’occasione per condurli a porsi una domanda più cruciale: l’ultima presa di posizione circa la sua identità (22,41-46) e che ancora oggi, rivolge a ciascuno di noi.
"Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?" chiede un dottore della Legge per metterlo alla prova. L'argomento è scottante per il giudaismo. I rabbini ripartivano i 613 precetti della Legge in 365 proibizioni (numero dei giorni dell'anno) e in 248 comandamenti (numero delle componenti del corpo umano). Si trattava di sapere qual era il precetto fondamentale.
L'interrogante non è mosso proprio da zelo autentico; è un dottore della legge che ritiene ancora una volta di mettere in imbarazzo il Signore. La richiesta conserva comunque tutta la sua validità ed importanza. Gesù, sapendo di parlare con un fariseo, riprende un testo del Deuteronomio, dove è contenuta la Torah, il cammino della vita.
La risposta di Gesù unisce tra loro l'amore di Dio e l'amore del prossimo (Dt 6,5 e Lv 19,18). Tutta la Legge è appesa in questi due amori che diventano un solo amore in Gesù, nel quale Dio e l'uomo si uniscono in una sola persona. E' nella capacità di tenerli uniti anche nella vita del cristiano che si misura la fede. Il cristianesimo potrà continuare a “rimanere su” a una sola condizione: se non si spezzeranno i due fili che lo tengono sollevato verso il cielo, i due fili che scendono dall’alto ed esercitano la loro attrazione costante e sicura: l’amore di Dio e l’amore dei fratelli.

L'esperto noterà che nel brano appaiono evidenti le motivazioni teologiche del comando del Signore: Dio è amore nella sua essenza, egli è il nostro creatore e Signore, ci ha creati per sé, per amore e ci ha quindi legati a se con vincoli indissolubili da vivere, sperimentare e godere nel tempo e nell’eternità.
Tuttavia la novità della risposta sta non tanto nel contenuto materiale quanto nella sua realizzazione: in Gesù, l’amore di Dio e per il prossimo trovano il suo contesto proprio, la sua ultima solidità. Vale a dire che l’amore per Dio e per il prossimo, mostrato e realizzato in qualche modo nella sua persona, orienta l’uomo a porsi davanti a Dio e agli altri mediante l’amore. Questo amore di Dio è possibile, nelle prove e tentazioni della vita, se è sorretto dalla speranza della vita eterna.
Il Papa Benedetto XVI, nell’enciclica Spe salvi, associa l’amore di Dio alla capacità anche di soffrire: “Questa capacità di soffrire, tuttavia, dipende dal genere e dalla misura della speranza che portiamo dentro di noi e sulla quale costruiamo” (n.39).
Ecco allora che l’amore di Dio è basato sulla rinuncia, sulla decisione, sulla speranza. E' la vita del cristiano.