martedì 4 agosto 2009

Mercoledì della XVIII settimana del Tempo Ordinario

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!



Gesù, scrive Matteo, dalla regione della Galilea "si ritirò" verso le parti di Tiro e di Sidone (l'attuale Libano), antiche città fenicie, marinare e mercantili, ricche e floride, ma anche segnate da egoismi e ingiustizie soprattutto verso i poveri. Lo sconfinamento di Gesù in territorio pagano prefigura e quasi anticipa la missione universale che il Risorto affiderà ai discepoli (Mt 28,16-20).
In questo luogo, Gesù ha un incontro con una donna (vedi Mt 15,21-28), la quale viene presentata da Matteo con l’appellativo di «cananea». Nel libro del Deuteronomio gli abitanti di Canaan sono ritenuti gente piena di peccato per antonomasia, popolo cattivo e idolatrico. L'evangelista, interessato a narrare l'incontro, presenta la donna, angustiata ai piedi di Gesù, iche nvoca l'aiuto per la figlia "tormentata da un demonio".
La donna, che probabilmente sentii parlare di Gesù, trovò l'occasione della sua vita per risolvere il suo problema. Osserviamo attentamente. La donna poteva ricorrere a qualche pratica della sua religione, ma quello che vuole e che cerca è il rapporto personale con Gesù. Lo invoca a distanza, gridando: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide". La donna riconosce in Gesù attraverso i due titoli che gli attribuisce il Messia, cioè il liberatore promesso da Dio al suo popolo.
Gesù rimane freddo e in atteggiamento di rifiuto. La sua missione è "per la casa di Israele". Anche nel discorso missionario ritroviamo questa consegna ai discepoli: "Non andate tra i pagani... rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele" (Mt 10,5-6).
Da queste parole, la donna sembra rimanere esclusa dal raggio dell'attività salvifica di Gesù. Ma Ella non demorde "si avvicinò e si prostrò dinanzi a Lui dicendo: Signore, aiutami!". Il termine "Signore", come già nella precedente invocazione, esprime la dignità e la potenza benevola di colui che è associato al "Signore Dio". Sulla bocca della donna suona in qualche modo come una confessione di fede, confermata anche dal gesto della prostrazione. Anche Pietro, mentre stava affondando nel lago, aveva gridato in modo simile: "Signore, salvami!" (Mt, 14,30).
Gesù risponde con una espressione dura e urtante. Il pane, il banchetto del Regno è riservato ai figli (Israele). Gli altri sono esclusi.
La donna pagana riconosce questo privilegio. Sa però che la salvezza, offerta da Dio attraverso Gesù e presente in Gesù, è una mensa talmente ricca e sovrabbondante che ce n'è anche per i pagani. Sa che la misericordia di Dio, quale si manifesta in Gesù, è così traboccante e illimitata da non trascurare il bisogno di una povera pagana. Riconosce, in definitiva, che la salvezza, di cui tutti gli uomini hanno bisogno, si trova in Gesù soltanto ed Egli la porta agli Ebrei, ma anche ai pagani.
A questa insistenza e fede profonda, Gesù dice a lei e ai presenti: questa è "grande fede", non "poca fede". Lo stesso elogio Gesù lo fece al centurione pagano (Mt 8,8-10).
In tutto l'episodio evangelico, scorre per noi, come di esempio, l'essenzialità della fiducia in Dio che libera dall'angoscia di confidare solo in se stessi e negli uomini. La fede della cananea convinse Gesù ad operare la guarigione. Ad una fede come questa neppure Dio può resistere. Qui, fanno al caso nostro le parole di San Paolo: "figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede" (Gal 3,7) e "non tutti i discendenti di Israele sono Israele" (Rom 9,6).
La fede fa sì che la donna sia anch'essa "della casa di Israele", ormai però non più "pecora perduta", ma ritrovata ed è accolta nella comunità messianica. Infatti, l'appartenenza a Cristo, a Dio, non si fonda sull'identità razziale, o culturale o sociologica, ma unicamente sulla fede.