martedì 17 novembre 2009

Mercoledì della XXXIII settimana del Tempo Ordinario

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!



Gesù, circondato da molta folla, è alla fine del viaggio e sta per entrare a Gerusalemme (vedi Lc 19,11-28). Qualcuno crede sia giunto il momento della manifestazione del regno di Dio e, forse, ritiene ormai inutile ogni impegno. Proprio oggi mi diceva una persona: "fra Vincenzo ha visto quella trasmissione? ... dicono che nel 2012 finirà il mondo... mio marito mi dice: allora se sarà così è inutile lavorare!"
Ora, al di la di quanto si possa dire o di quanto possa accadere al pianeta, cose che già stiamo notando, Gesù ci racconta una parabola su come si attende il regno dei cieli. Racconta di un uomo nobile che parte per un paese lontano per ricevere la dignità regalee prima di partire affida ai servi una somma di denaro perché durante la sua assenza la facciano fruttare.
La descrizione della parabola ci dice in quale direzione vanno i servi. Anche a noi è stata affidata una somma da fruttare, ma quale direzione abbiamo presa?
Spesso diciamo: non valgo a niente. Non ci credo che non valiamo nulla! Anzitutto dire così non è umiltà, ma depressione. Nel Vangelo quest'atteggiamento vittimista viene contestato duramente perché produce, come unico risultato, l'inabilità permanente.
Ognuno di noi ha dei doni, a ciascuno di scoprire quali sono e di metterli a servizio del Signore: è tempo di finirla col pensare che la nostra vita è inutile e che siamo una specie di sbaglio dell'umanità. Certo, forse il dono che possiedo non è evidente o clamoroso, ma c'è, garantito. Forse ho il dono dell'ascolto degli altri, o della pazienza, o di potare le rose. Mica dobbiamo candidarci alla "notte degli oscar" o al premio Nobel!!! Dio ci ha donato dei doni da mettere a servizio della comunità, non lasciamo perdere ciò che siamo nel profondo!
Coltiviamo invece la familiarità con Dio (il padrone, nel Vangelo) e quindi la corresponsabilità per i suoi beni. All'interno della parabola, Gesù mette a fuoco due opposti comportamenti a proposito dei beni che Dio ci dà da amministrare nel tempo breve della nostra esistenza. Il primo è il comportamento di chi è tutto "rattrappito" dalla paura. La paura di Dio è tipica di Adamo (Gen 3,10) e dei suoi discendenti. Essa deriva dall'immagine di un Dio cattivo, che non ci ama. Questa paura blocca l'azione dell'uomo.
L'uomo "religioso" considera Dio severo e intransigente. Il suo comportamento da uomo "giusto" è mosso da un'estrema difesa da Dio, nella ricerca parossistica di chiudere il conto in parità. Ma ciò non è possibile.
L'unica via d'uscita è il secondo comportamento: la gratitudine per la gratuità del dono.Infatti, l'altro traffica bene quello che gli è stato consegnato da amministrare e riceve una ricompensa incredibilmente superiore al poco in cui si è mostrato fedele.. In effetti anche noi possiamo essere tentati di gestire i doni di Dio all'insegna delle paure, dentro una vita più da schiavi che da figli.
Fermiamoci per capire che uso facciamo dei beni che il Signore ci ha fatto. Chiediamo al Signore Gesù il coraggio del rischio, dell'iniziativa, della creatività: non per emergere, per farci un nome, ma perché il suo Regno di giustizia, di pace e di amore trionfi.
Preghiamo così: Fammi conoscere quello che tu vuoi da me e poi dammi l'ardimento di compierlo, senza paura di essere libero e creativo per glorificare Te, o Creatore e Sovrano dell'universo.