martedì 1 dicembre 2009

Mercoledì della I settimana di Avvento

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!

Il brano evangelico di Matteo ci accompagna con Gesù che, tornato in Galilea, sale nuovamente sul monte (vedi vangelo del giorno). Gesù, nota l'evangelista, "si fermò là", come a voler radicare se stesso e tutta la sua opera nella familiarità con il Padre. Questo testo rimanda alle profezie di Isaia per il tempo messianico (Is 35,5-6). Solo una comunità risanata e liberata dai suoi mali può essere invitata alla festa messianica, anticipata nel segno del pane distribuito a tutti con abbondanza.
Nel vangelo di Matteo il monte è il luogo della rivelazione di Dio, sia mediante la parola (5,1; 28,16), sia attraverso i gesti di soccorso (14, 23). Gesù realizza qui quanto aveva promesso nel brano delle beatitudini: i poveri, gli afflitti e gli affamati trovano la consolazione e la sazietà.
Quel luogo di preghiera diviene come un santuario a cui i malati, i poveri, gli storpi accorrono per essere guariti. E l'evangelista nota che Gesù li guariva e rivolgeva a tutti la sua parola. Per tre giorni continuarono ad ascoltarlo. Egli ha compassione per il popolo che lo segue da tre giorni e ha esaurito le provviste di cibo.
Questa compassione è attribuita spesso a Gesù dal vangelo di Matteo che lo presenta come il messia misericordioso. E' una commozione interna e viscerale, un sentire profondo e intenso che spinge Gesù a soccorrere il suo popolo mediante la missione dei dodici (9,36), le guarigioni (14,13; 20,24) e la moltiplicazione del pane (14,14).Stiamo vivendo il tempo dell'attesa, una attesa che ci prepara allo spirito autentico del Natale del Signore.
Forse in noi ci sta tanta infelicità: è la malattia interiore che ci impedisce di essere felici: sofferenza, scoraggiamento, egoismo, tribolazioni, e ci raduniamo intorno al Signore Gesù per essere guariti. In questa situazione di sofferenza Dio è compassionevole, ma chiede a ciascuno di noi di sfamare la folla che lo segue.
Forse "i conti non ci tornano", ma in pratica, il Dio di Gesù chiede a noi di sfamare la folla, affida ai suoi discepoli il compito di sollevare il destino degli uomini, di metterci in gioco, di tirar fuori del nostro, custodito gelosamente. Dio non esiste perché possa risolvere i nostri problemi, ci aiutà però ad affrontarli, non concede benevolmente dall'alto i suoi favori, ci chiede – invece – la fatica dell'interrogarsi, il martirio del mettersi in gioco.
Leggendo il brano evangelico ci chiediamo anche noi: come potranno sette pani sfamare una folla affamata di sette giorni? Sette pani, appunto, sette: il numero della perfezione e della totalità per Israele. Sette pani: la totalità di ciò che sono... che sei, la pienezza di ciò che so... che sai, se messo in gioco, può sfamare l'umanità. Sfidiamo a generosità Dio, non restiamo lì ad aspettare che sia lui a risolvere i problemi ma accogliamo la sua provocazione, oggi.
Fermiamoci nel silenzio del cuore, non stiamo a pensare che tutto è dovuto; chiediamoci pure: cosa sono disposto a mettere in gioco del mio tempo, della mia intelligenza, del mio carattere per sfamare i tanti fratelli e le tante sorelle bisognose che incontro sulla strada della vita?
I cristiani che partecipano alla cena del Signore o che rileggono il miracolo della moltiplicazione del pane sono chiamati a spezzare con Gesù il pane e la stessa vita per gli altri. Il cristiano, saziato dal Cristo, offrirà a tutti l'abbondanza dei beni ricevuti: la pace, la felicità, l'amicizia con Dio e con i propri fratelli. La beneficenza materiale e spirituale instaura il regno di Dio sulla terra.
Preghiamo così: Signore, ci rechiamo da te per essere guariti dentro, per tornare a vedere il senso della nostra vita. Tu sazi la nostra fame di felicità e ci chiedi di metterci in gioco per saziare i fratelli che oggi incontreremo. Marana thà, vieni Signore Gesù!