martedì 26 gennaio 2010

Mercoledì della III settimana del Tempo Ordinario

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Il vangelo odierno sembra che richiami alla nostra sordità di fede. La parabola del seminatore inizia e termina con il comandamento dell'ascolto: "Ascoltate!", "Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti" (vedi Mc 4,1-20).
La fede è iniziativa del seminatore che getta il seme della Parola. Nella nostra vita interiore è sempre Dio a partire per primo. La nostra fede è risposta a un'iniziativa, è accoglienza, è conversione nel senso di renderci conto di qualcuno che ci guarda e ci ama.
San Pietro scrive e riflette per noi: "Siete stati rigenerati non da un seme incorruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna" (1Pt 1, 23). Il regno di Dio è paragonato costantemente al seme, la cui forza vitale è attiva proprio nella morte. La morte non distrugge il seme, ma anzi è la condizione perché germini e si manifesti in tutta la sua potenza, a differenza di tutte le altre cose che marciscono e finiscono.
Ma Gesù vuole aiutarci in questo cammino di fede, in qualche maniera fa il terapeuta della nostra vita analizzandola. Guardiamola insieme.
Il primo terreno è poco profondo, e rappresenta chi è incostante, chi si entusiasma subito e alla prima difficoltà molla tutto. L'entusiasmo è essenziale alla fede ma va calato nel quotidiano.
Il secondo terreno è un terreno più profondo ma che viene soffocato dalle spine. E Gesù si premura di descrivere queste spine: preoccupazioni e angustie della vita. Quando, cioè, il vangelo non riesce a riempire il nostro cuore di serenità e ci lasciamo travolgere dalle cose concrete. Se la fede non cambia la concretezza della nostra vita, il vangelo è un'illusione. Se il Cristo non incide almeno un poco nei nostri giudizi, perché credere? Infine l'ultimo terreno. Chi ci si ritrova? Ad ognuno la sua risposta. Ma lasciamoci aiutare anche da questo pensiero: è terreno buono chi di noi si è trovato, almeno un poco, in uno dei tre precedenti terreni. Chi si è sentito trafiggere il cuore e ha detto: "Signore, è vero: il mio cuore è duro come la pietra, sono scostante e troppo preso dalle mille occupazioni". Allora sì, abbiamo qualche possibilità di portare frutto perché viviamo nell'autenticità.
Ricordiamoci che Gesù è la parola di Dio seminata in noi. Il mistero del regno di Dio nella storia è quello del seme, che rivive in noi la sua stessa vicenda di allora. lora non abbiamo paura delle difficoltà che la Parola incontra in noi, ma diamo più fiducia nella forza che essa ha in sé.