martedì 20 luglio 2010

21 luglio: Sant'Elia profeta

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!




Oggi per l'Ordine Carmelitano è festa grande. Ricorda il suo padre spirituale: il profeta Elia, a cui fin dai primordi quanti seguirono le sue orme al Carmelo vissero sul suo stile ed esempio di vita.
Il Vangelo odierno in questa solennità è tratto dal Vangelo di Luca e ci fa contemplare l'icona della trasfigurazione di Gesù davanti a due grandi profeti: Elia e Mosè (vedi liturgia carmelitana odierna).
Il racconto della trasfigurazione di Gesù in Luca ci viene proposto – lo ritroviamo anche in Marco e Matteo con differenze gli uni dagli altri - da un lato, come risposta a tutta una serie di interrogativi sull'identità di Gesù (Lc 9,7-9 e 9,18-22), che precedono il racconto stesso; dall'altro, come preparazione e introduzione al cammino di Gesù verso Gerusalemme, in cui si compiranno i misteri della nostra salvezza (passione, morte e risurrezione) e che occuperà ben dieci capitoli del vangelo lucano: da 9,51 a 19,28. Inoltre, in questi discorsi, che precedono la trasfigurazione e ai quali essa si aggancia, Gesù colloca la comprensione della sua identità all'interno di una cornice di sofferenza e di morte, quasi a dire che soltanto entro tale contorno egli può essere compreso correttamente (Lc 9,22). Non solo, ma evidenzia come chi vuole seguirlo deve, anche lui, rinnegare se stesso, prendere e la sua croce (Lc 9,23-27). Vengono, pertanto, dettate qui le regole della sequela e del discepolato. Entro tale cornice va letta la Trasfigurazione.
In questi giorni, in cui si è celebrato la festa liturgica della Madonna del Carmine, spesso è risuonato il senso dell'abito come abito di Maria ma sopratutto come habitus - abitudine di stare con. E' questo il senso che possiamo ricavare dalla liturgia nel ricordo solenne di questo uomo di Dio.
Nel Vangelo Gesù compie un cammino e prende con se alcuni dei suoi discepoli per stare con Lui: cioè li strappò da se stessi per associarli al suo cammino. Gesù non ama camminare da solo, non è un eroe solitario. Egli si lega a quel gruppetto di uomini, pur sapendo che sono deboli, fragili, limitati e limitanti, ma forse proprio per questo li prende e non non li lascia indietro, anche se non sempre capiscono. Gesù è il vero pastore: non si stanca di stare con i suoi; li porta sempre con sé. Quel giorno li condusse sul monte per pregare. la preghiera precede e introduce l’evento mistico, che l’evangelista descrive con una circonlocuzione: «Il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» (v. 29), senza premettere il verbo metamorphousthai (= trasfigurare), presente in Marco e Matteo (cf. Mc 9,2; Mt 17,2).
Non è chiaro perché l’evangelista eviti l’uso del verbo «trasfigurare». Secondo alcuni Luca vorrebbe evitare l’accostamento con le metamorfosi delle divinità pagane o dei culti misterici; per altri si tratterebbe invece di un’allusione all’evento mosaico del Sinai (Es 24,29-30) dove si parla del volto di Mosè, sul quale si riflette la gloria di Yhwh. L’importanza data all’evento mistico conduce a pensare alla rivelazione di Gesù come colui che risorge e si colloca nella sfera della trascendenza e della gloria divina.
Nei vv. 30-31 Luca introduce nella scena i due «uomini» che parlano con Gesù trasfigurato: Mosè ed Elia (mentre secondo Mc 9,4, la disposizione è piuttosto Elia e Mosè). Si tratta di due personaggi importanti nella storia biblica, che vanno interpretati nella linea della testimonianza messianica. Il primo, oltre a essere il liberatore del popolo ebraico, è anche il mediatore della legge sinaitica. Il secondo è il profeta che ha ricoperto un ruolo determinante nella difesa della religione di Yhwh e nel ristabilimento dell’alleanza tradita dal popolo. Entrambi i personaggi condividono l’esperienza del rifiuto e della persecuzione, che caratterizzerà lo stesso destino di Gesù in vista della Pasqua. Allo stesso modo, secondo la tradizione, entrambi sono stati rapiti al cielo, così come avverrà per l’ascensione del Cristo (cf. Lc 24,50-53; At 1,6-11). Un ulteriore aspetto è costituito dall’esperienza mistica che i due personaggi vivono sul monte (Sinai / Oreb) e che riguarda la visione della «gloria divina».
Il brano termina con le parole di Pietro: "Maestro, è bello per noi stare qui". L'ho sempre visto come un fatto di comodo questa espressione, oggi voglio vederla come bellezza teologica che ci invita a stare al cospetto di Dio in ogni circostanza della nostra vita.
L'esperienza del profeta Elia non ci insegna altro che continuare a vivere alla presenza di Dio nonostante i nostri limiti, le nostre debolezze per essere parabola della preghiera ovunque ci troviamo.