domenica 7 novembre 2010

Lunedì della XXXII settimana del Tempo Ordinario

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!


Celebriamo oggi una grande donna del Carmelo femminile: la beata Elisabetta della Trinità. Il vangelo che la liturgia odierna ci presenta, è una ottima medicina contro il nostro peggior nemico: noi stessi (vedi Lc 17,1-6).
La Parola di Dio di oggi è chiara. Si ripete e si rinnova sempre perché siamo fragili e non capiamo o non vogliamo capire. Pensiamo che il nostro parlare, agire è da cristiani e invece dobbiamo ricrederci. La misericordia è l'anima della comunità cristiana nei suoi rapporti interni ed esterni. Essa non è composta da impeccabili, e quindi tutti possono essere motivo di scandalo verso tutti. Infatti, tutti come quegli scribi e farisei del Vangelo pronti a scagliare la pietra, ma a ritirarci davanti alla condizione posta da Gesù (cfr. Gv 8,1-11). Infatti, siamo pronti a rispondere prontamente e ci vantiamo pure di alzare la bandiera cristiana nel colpire il fratello o la sorella. A nasconderci dietro la Parola di Dio, pensando che in quel momento si realizzi la Parola e invece si realizza la nostra superbia e falsità.
Qualcuno dopo aver espresso la sua rabbia invoca ad alta voce il Signore perché intervenga. Niente di più sbagliato!!!

"Anche se ci sembrerà di essere sapienti davanti all'opinione di tutti, non saremo per nulla dotati di sapienza, "perché la collera risiede in seno agli insipienti" (Sir 7,10; LXX); e nemmeno potremo raggiungere l'immortalità, anche se ci sembrerà di passare come prudenti per le voci degli uomini, poiché "la collera conduce anche i prudenti alla perdizione" (Pr 15,1; LXX)" (Giovanni Cassiano).
Il cristiano deve stare attento a non dare scandalo a nessuno. La dura condanna di Gesù verso coloro che danno scandalo ci fa pensare che gli scandali possono essere frequenti e anche gravi sia all'interno che all'esterno della comunità cristiana.
La correzione fraterna è in gesto scomodo da cui ognuno vorrebbe essere dispensato, ma il vero bene del fratello deve far passare in second'ordine il proprio disagio per liberare chi è in pericolo.
La comunità dei discepoli sarà veramente cristiana se un fratello perdona all'altro, se perdona sempre, nonostante le ricadute. Se il cristiano perdona al fratello, il Padre perdona a lui i suoi peccati (cfr. Lc 11,4). Il popolo di Dio diventa santo con la sollecitudine di tutti per la salvezza di ciascuno e col perdono di ogni offesa personale e di ogni dispiacere ricevuto.
Gesù richiama perciò alla dimensione del perdono, una dimensione ineliminabile e quotidiana nella vita della comunità cristiana.
Nel vangelo si parla anche di fede. Sì, abbiamo bisogno di essere fedeli a Dio per essere capaci di perdonare. La fede non può essere aggiunta o accresciuta da Dio perché la fede non viene data da Dio, ma è la risposta al dono d’amore che Dio fa a tutti. Chi usa misericordia è fedele, cioé è capace di rispondere al dono d'amore che Dio gli ha fatto, un dono d’amore manifestato in una altrettanta offerta d’amore agli altri.