sabato 26 ottobre 2013

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!



Ogni domenica celebriamo la Trinità Santa, ci raccogliamo in uno spazio ove la Trinità Santa si manifesta per stare con l'umano e continuare a darsi.
L'antifona d'ingresso alla Messa di questa domenica, recita così: "Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto" (Sal 104,3-4). 
In queste parole del Salmista risuonano atteggiamenti di preghiera. Infatti, anche questa domenica continua la catechesi sulla preghiera.
L'evangelista Luca ci presenta, attraverso due uomini, una grammatica della preghiera. 
Pregare non è una questione di continue preghiere prese da un libro di devozioni come ci hanno insegnato da piccoli. Non è un ripetere o aggiungere parole, Gesù stesso ce lo dice (cfr. Mt 6,7-8)!
La preghiera non è un occupare parte della giornata per riempirla di qualcosa, ma come abbiamo detto prima, è un cercare Dio, uno stare dinanzi a Lui, un gioire in Lui, un abitare Dio.
I due uomini che salgono al tempio, un fariseo e un pubblicano, cercano Dio, riconoscono di avere radice in Dio. A guardarli, anche grammaticalmente, sembra che iniziano bene la loro preghiera. Però, c'è qualcosa che non va, c'è un vuoto. Questo vuoto è attenzionato nel fariseo che non mette cuore in Dio, ma un monologo e soprattutto non parla di sé, ma degli altri. Si sente con la coscienza a posto ma punta il dito sugli altri.
La vita del fariseo è piena di osservanza di precetti, magari vita onesta ma infelice perché ha messo se stesso e non Dio e il suo Spirito. Adesso, lo chiama in causa "vomitando parole" piene di quello che ha fatto a differenza degli altri...
Il pubblicano invece è adombrato dall'umiltà. E' cosciente della sua povertà, della sua imperfezione. E' come l'orante della prima lettura presa dal Siracide, la cui preghiera è ascoltata da Dio, perché è un uomo senza qualità. 
La preghiera del pubblicano è grammaticalmente autentica e costruisce la sua preghiera in Dio, a differenza del fariseo che la costruisce su se stesso.
Quante volte ci lamentiamo della nostra stessa vita "orante" perché non otteniamo nulla. O, magari, come il fariseo pecchiamo di orgoglio spirituale per quanto facciamo e ci sentiamo a posto con Dio ma non con gli altri.
La seconda lettura, presa da San Paolo che scrive all'amico Timoteo, ci da anch'essa un atteggiamento da usare dinanzi a Dio in particolare, quelle volte che facciamo esperienza del dolore, della malattia, della povertà, della miseria, dell'emarginazione, dell'ingiustizia. Paolo usa espressioni che vanno al cuore dell'uomo, che "indicano la via da seguire", che se è autentica in ognuno di noi, l'obbiettivo è solo uno: "Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione".
La preghiera è questo stare fino alla fine dinanzi a Dio e viverla come speranza e di fiducia in Dio. 
La preghiera diventa momento purificatore perché, in piena umiltà, possa riconoscermi peccatore e chiedere la mia elemosina a Dio (Kyrie eleison).
Recuperiamo allora quello che abbiamo dimenticato: aprire la porta della nostra vita per far entrare Dio, perché il suo Spirito ci renda come Lui, capaci di fare gesti nuovi nella vita di tutti i giorni.
Il pubblicano torna a casa nuovo, giustificato. Ed io?

Buona Domenica nel Signore a tutti voi!



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