giovedì 4 aprile 2024

II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO B)

CELEBRARE LA PASQUA ATTRAVERSO LA SOFFERENZA


In questa seconda domenica di Pasqua la Liturgia ci ripropone il Vangelo che narra l’incontro di Gesù risorto con i suoi discepoli la sera stessa di Pasqua e poi otto giorni dopo.
Questa è la domenica “in Albis” o “dello stesso giorno”, perché anche questa domenica celebriamo solennemente il giorno di Pasqua. Oggi è anche la domenica della Divina Misericordia e il Signore risorto apparendo ai discepoli, a coloro che l’avevano abbandonato, offre abbondantemente la sua misericordia, mostrando le sue ferite.
Il Vangelo ci dice che «la sera dello stesso giorno», i discepoli si trovavano in un luogo con le porte sbarrate «per timore dei giudei».
Abbiamo davanti una comunità piena di paura, ferita, lacerata, peccatrice. Ciò che vivono li riporta a quel giorno in cui il Maestro non è più con loro. Sono anche assaliti dal tradimento di Giuda, dal rinnegamento di Pietro ma anche dell’abbandono da parte di tutti i discepoli. Quante cose si stanno rimproverando nel loro cuore triste, un cuore chiuso in se stesso, che sbarra la porta dell’esistenza.
Questi sono gli stessi sentimenti che proviamo ancora noi oggi: sarà vero quello in cui credo? La mia vita sta andando a rotoli? Dov’è Dio?
L’Evangelista ci dice che in questo contesto viene Gesù, si rende presente al cuore della situazione personale e comunitaria, entra a porte chiuse e mostrando le sue ferite inferte da chi l’ha tradito, da chi l’ha rinnegato, da chi l’ha abbandonato, dona il suo «shalom»: «pace a voi» è un dono, un dono che porta armonia con Dio, con il creato, con tutti.
Anche oggi quelle ferite nel corpo di Gesù sono continuamente inflitte ogni qual volta che lo tradiamo, che lo rinneghiamo, che lo abbandoniamo per la durezza del cuore, per il misconoscimento della sua persona e della sua missione, però Gesù continua a mostrarsi ancora a noi con quelle ferite perché sono i segni del "mite e umile di cuore" (Mt 11,28) che non ha opposto resistenza alcuna (Is 53,7-8). Anzi, dona ancora oggi la sua pace, la sua misericordia. Questa però non è una pace qualsiasi, è qualcosa di più profondo che va annunciata, va vissuta, va testimoniata, va donata.
Questa è anche la domenica di Tommaso che in quest’incontro è assente. Chissà perché? Possiamo paragonare l’assenza di Tommaso a colui o colei che si assenta o si allontana dalla Comunità cristiana a causa degli scandali, a causa di qualcosa che non funzionava. Noi siamo abituati a dire “sono come san Tommaso”. È vero Tommaso è il patrono degli increduli ma non nei confronti di Dio, nei confronti del Risorto ma nei confronti di coloro che ancora oggi scappano dalla comunità, nei confronti di chi tradisce Gesù, di chi lo rinnega, di chi lo abbandona. A questi Tommaso non crede perché anche lui riconosce la sua fragilità e a differenza loro, non alza il ditino, non fa il falso uscendo dalla chiesa, non si costruisce la sua cerchia contro quel prete, non si fa la sua chiesuola, non dice: “io non metterò più piede in quella chiesa” ma rimane in quella chiesa perché è in quella chiesa che vuole rinnovare l’incontro con il Risorto e come vediamo dal Vangelo, Gesù fa il suo ritorno apposta per Tommaso, otto giorni dopo, nello stesso luogo, e si manifesta in quella sua fragilità.
Tommaso celebra la sua Pasqua attraverso la sofferenza. In altre parole, nei segni della sofferenza, Gesù dice a Tommaso di condividere la sua sofferenza con la sua sofferenza risorta e trasfigurata perché alla sua fede si aggiunga il perdono e la pace che guarisce le sue fragilità.
Attraverso questa sofferenza accolta e condivisa Tommaso fa la sua grande professione di fede: “mio Signore e mio Dio”; poche parole ma con quel piccolo aggettivo possessivo che cambia tutto, che cambia la vita. Un aggettivo che non indica che Dio è in mio possesso ma che sono posseduto da Dio che significa adesione, appartenenza, scambio di vita. In quell’aggettivo ci sta tutta la vitalità di Dio che mi è compagna dei giorni, l'avverto, è energia che sale, dice e ridice, non tace mai, dà appuntamenti, si dilata dentro, mette gemme di luce, mi offre due mani piagate perché ci riposi e riprenda fiato e coraggio. È un aggettivo che fa dire alla mia persona che appartengo a un Dio vivo, non a un Dio compianto. Ecco perché a Tommaso non fu necessario mettere il dito sulle ferite di Gesù, ma lasciò incrociare il suo sguardo con lo sguardo del Risorto, lasciandosi accarezzare dalle sue mani, vivendo una forte relazione con il Risorto perché si è scoperto risorto dalle tante situazioni della vita ed introdotto nella Misericordia divina sentendosi “gemello” del Signore Gesù.
Tommaso, con la sua professione di fede, è modello di ogni cristiano che è tale non perché fa parte di un gruppo parrocchiale, ma perché vuole appartenere a Cristo ed essergli gemello in morte e in vita.
Questa esperienza pasquale ci fa celebrare anche la festa della Divina Misericordia che ogni anno ci getta nelle ferite pasquali e ci conduce a riconoscere altre ferite che per Dio sono sacre: sono quelle dell'umanità, le ferite delle guerre, le ferite nelle famiglie, nella società, le varie ferite nel mondo, soprattutto in mezzo ai poveri, ai malati, in qualunque sofferente, ma nello stesso tempo, ci invitano a lasciarci ferire a nostra volta da Lui e per Lui!
Il Vangelo chiude con una beatitudine: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto». Essa ci appartiene, anche se nella vita facciamo fatica, anche se camminiamo a tentoni. È una beatitudine pasquale e siamo ancora a Pasqua e Pasqua è sempre un nuovo inizio. Così ogni domenica, otto giorni dopo, torniamo a ripetere quest’incontro d’amore e sarà sempre un nuovo inizio perché Dio ci ama e sentiamoci amati portando a tutti il suo amore misericordioso!

Buona domenica nel Signore a tutti voi!





immagine: https://www.ilpopolopordenone.it/Diocesi/A-porte-chiuse-ci-spalanca-la-vita