giovedì 9 ottobre 2025

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

IL MIRACOLO DELL'AMORE


Questa domenica, nel continuare il nostro percorso di fede insieme a Gesù, ci accorgiamo che ci fa fare un giro largo, passando da una terra straniera, dove la fede si scontra con l’eresia, dove la fede si scontra con le contraddizioni, dove la gratitudine si scontra con l’ingratitudine. Davanti abbiamo una delle tante storie della vita che non riceve la giusta attenzione, non è guardata con lo sguardo dell’amore. Eppure, san Paolo, nel suo inno alla carità, ricorda che senza l’amore, anche se ho fede, non sono nulla (1Cor 13,2).
Nel brano evangelico vediamo Gesù che entra in un villaggio, entra nel nostro quartiere, nella vita di tutti i giorni. La sua venuta in mezzo a noi vuole purificare l'anima e sanarla dalla lebbra.
Incontro a lui vanno dieci lebbrosi. Il numero dieci nella cultura ebraica indica la totalità: quindi in questi dieci ci siamo anche noi, anche se non sempre ci accorgiamo che anche noi abbiamo bisogno di essere purificati dalla nostra lebbra, ci sentiamo a posto con la coscienza, che tutto ci è dovuto e quindi neanche desideriamo fare quest’incontro con Gesù.
I lebbrosi lo sappiamo sono uomini e donne con malattia infettiva del corpo corrotto e che per la Legge erano classificati impuri, peccatori e venivano esclusi dalla comunità religiosa. Solo il sacerdote, una volta attestata la guarigione, riammetteva nella comunità (cf. Lev 14).
Questa domenica ognuno di noi è chiamato a rivedere la propria fede martoriata dalla lebbra della vita, per tutte quelle volte che viviamo una vita rassegnata, nell'indifferenza, nel proprio ego. Per tutte quelle volte che ascoltiamo superficialmente Gesù e cadiamo nella tiepidezza spirituale lasciando la nostra vita aggrovigliata da tante situazioni e incapacità.
Dimentichiamo che la fede è un dono che nasce dalla Parola, è una grazia che ci è stata consegnata nel giorno del Battesimo.
Il brano evangelico ci mostra come viene vissuta la fede da questi dieci lebbrosi. Intanto all’invito di Gesù si recano dal sacerdote per attestare la loro guarigione ma non erano ancora sanati, partono fiduciosi alle parole di Gesù e vengono sanati durante la strada. Qui accade qualcosa che ancora ai nostri giorni vediamo: chi è capace di vedersi sanato e dire il suo grazie e chi invece, pur vedendosi sanato, continua a vivere nel suo orgoglio.
Quante volte il nostro dirci cristiani è solo di facciata, non torniamo indietro per fare Eucarestia (ricordiamolo: eucarestia significa rendimento di grazie). Pensiamo che tutto ci sia dovuto, ma continuiamo a vivere nella nostra lebbra. Forse quasi quasi ci piace e ci ridiamo sopra quando qualcuno ce lo ricorda. Dio ha detto ad Abramo di camminare alla sua presenza e di essere irreprensibile. Un invito che abbiamo tradotto con l’andare ogni domenica a Messa, magari con un orario più comodo e, una volta assolto il precetto, mettiamo a tacere Dio e i suoi ministri. Grazie a Dio non tutti la pensano così. Tra questi abbiamo uno "straniero" che si siede alla mensa della misericordia insieme a chi è di casa, possiamo anche definire questo straniero come un divorziato, un separato su cui spesso, uomini e donne di prima panca puntano il dito, lo emarginano, magari cambiando di posto.
L’Evangelista questa domenica sottolinea ancora una volta che sono veramente pochi coloro che la pensano diversamente! Sono veramente pochi coloro che accolgono la salvezza!
La fede, dono di Dio all'uomo, ha bisogno di una risposta-adesione della persona che per sua natura si manifesta in una continua crescita e maturazione in una relazione d’amore.
Il Vangelo odierno invita tutti a superare la barriera della lebbra che si manifesta come un ripiego su sé stessi, sul proprio peccato: un restare sé stessi esclusi. La Salvezza, infatti, è per tutti.
Il Samaritano, uno straniero, un escluso, in piena libertà, l'ha capito e non è solo viene guarito dal suo male ma è anche salvato. Gli altri nove, nonostante tutto, nonostante dicevano di aver fede no! Essi, sì, sono stati guariti ma si sono fermati solamente alla guarigione e alla convalida di essa da parte dei sacerdoti. Tipica di una fede rinata ma che muore subito in quanto non è innestata in Cristo Gesù, in Dio. Possiamo dire che il miracolo ha avuto effetto soltanto in una sola persona, non è stato così sufficiente per condurre gli altri nove alla fede autentica, vera. Questo episodio è abbastanza inquietante: ricevere un miracolo e non cambiare di una virgola, guarire e non salvarsi. La vera guarigione del Samaritano non è dalla lebbra ma nell’entrare in quel rapporto d’amore, di gratitudine con il Signore Gesù. Mentre gli altri nove sono rimasti nella lebbra dell’ingratitudine, di cui nessun sacerdote può certificare la sua guarigione. Non serve a molto guarire se non si arriva alla salvezza. Per questo San Paolo esorta a rendere sempre grazie a Dio, in qualsiasi momento della nostra vita: bella o brutta che sia (1Ts 5,18), rendendola così sempre più bella nel testimoniare anzitutto il nostro essere figli, testimoniando l'amore misericordioso di Dio che continuamente si dona, amando e perdonando. Un emarginato l'ha fatto e si è salvato. Ed io cosa sto aspettando?

Buona domenica nel Signore a tutti voi!