mercoledì 27 agosto 2025

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

IL BANCHETTO NUZIALE DELLA VITA


Continuando il nostro cammino con Gesù verso Gerusalemme, incontriamo la Parola di Dio che questa domenica si apre invitandoci a compiere le opere con mitezza, a farci umili davanti al Signore. Questi sono due atteggiamenti che ci accompagnano anche di fronte a chi viviamo e non solo; a questi due atteggiamenti, significativi per essere veri discepoli di Gesù, abbiamo anche l’atteggiamento della gratuità.
Questi atteggiamenti sono ripresi da Gesù mentre si trova a casa di un capo dei farisei per un banchetto.
Il banchetto lo sappiamo tutti è una grande festa che riunisce la famiglia, riunisce gli amici. Nella cultura antica semitica il banchetto non specifica solamente un ritrovo, ma sancisce una comunione di intenti, di destini: entra nel profondo degli affetti e degli ideali.
A un banchetto si notano tante di quelle cose: vistose, preziose, gustose insieme ai vari comportamenti che gli invitati possano assumere e che, nello stesso tempo, possono essere un problema di fondo della stessa persona. Tra questi primeggia il posto da occupare. Ai nostri giorni succede ancora. Se non è l’invitante a dirti dove sederti, subito come se fossimo dei predatori, sbirciamo dove sederci, con la speranza di essere più vicino all’invitante.
Facciamoci caso: quest’atteggiamento focalizza più la nostra collocazione anziché la nostra identità. Ed è quello che osserva Gesù e per questo offre, attraverso le sue parole, dei consigli che mettono in guardia dal protagonismo e dall’esibizionismo di chi corre per i primi posti. Gesù anzitutto ci ricorda che la tavola è la metafora della vita, dove non esiste prestigio, classifiche, protagonismo, esibizionismo. Spesso succede nelle famiglie: si invita una tal persona per dare prestigio alla propria casa, alla propria vita. Questo ci colloca fuori dalla tavola della vita e questo può renderci infelici in quanto non sappiamo quale è la vera gloria. Quante volte cadiamo nell’errore di credere che la cosa più importante nella vita è avere sempre di più, contare nella società, dominare sugli altri. Ma il banchetto della vita è di tutti e la collocazione nella vita ce la fornisce Dio e non il nostro orgoglio o la nostra presunzione.
Occorre sedersi dove si siede Dio e Dio dove si siede? All’ultimo posto, quello che conta meno, quello meno visibile, quello scartato, perché Lui si è fatto ultimo e servo di tutti, si è fatto pietra scartata per essere fondamento della nostra esistenza e per questo ci dice che il primato nell’amore è di colui che serve, di chi prende l’ultimo posto. Ecco l’Eucarestia, il banchetto che celebriamo di domenica in domenica: il posto di Dio. Sedendoci al posto di Dio noi impariamo cosa significa essere umile, cosa significa essere mite, cosa significa essere dono per l’altro. In questo galateo spirituale noi troveremo la via della saggezza, troveremo, come dice il Siracide, «grazia presso Dio», troveremo la nostra identità.
Ai nostri giorni facciamo più fatica in questo e lo si vede da come partecipiamo al banchetto eucaristico domenicale. Molti oggi non partecipano più, ma non perché fuggono da Dio ma da se stessi andando in cerca del fatto o della classe dominante e lì dimorarci.
Il Vangelo di questa domenica insegna che non esistono classi sociali che valgono per quello che hanno o per quello che sono. Conta sempre il valore della propria vita. Noi siamo “pezzi unici” e irripetibili a prescindere dalla classe sociale o dominante. Chiediamoci invece: perché Gesù è morto in croce? Perché siamo pezzi unici, importanti, siamo preziosi e non perché occupiamo posti particolari nella società. Troviamo mille scuse quando si parla di santità, ma solo perché abbiamo paura di andare fino in fondo, abbiamo paura di come ci può trattare l’altro e spesso a causa del chiacchiericcio, quella peste comune che lotta per distruggere la nostra vera identità, rimaniamo nella paura facendo passi indietro. San Bernardo di Chiaravalle nei “gradi dell’umiltà e della superbia”, diceva che la curiosità sterile e le parole superficiali sono i primi gradini della scala della superbia, che non porta in alto, ma in basso, facendoci precipitare verso la perdizione e la rovina.  
Nel Vangelo di oggi Gesù ci consegna uno stile fatto di lealtà, discrezione, coraggio, chiarezza perché noi valiamo per quello che siamo e non per quello che dicono gli altri o per i posti che occupiamo. Cristo Gesù crede che ognuno di noi sia importante in quanto persona e non per altro, per questo dona la vita per ciascuno di noi. Mi chiede solo di lasciarmi amare e lasciarmi trasformare dal suo amore.
Questo è il memoriale che celebriamo di domenica in domenica ricordando che ognuno di noi vale il sangue di Cristo e non pochi centesimi svalutati.
Se ci riconosciamo figli di Dio, andiamo allora a quell’ultimo posto guardando speranzosi, pur tra le difficoltà della vita, alle cose di lassù. Il posto vero non ce lo dona il mondo ma Dio. Non attacchiamoci all’audience o alla stima che l’altro può avere su di noi.
La Parola di Dio ci dice qualcosa di straordinario: «per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male». Per questo conta l’umiltà, conta la mitezza, contano le opere di bene, perché quanti le ricevono non hanno come ringraziarci, per loro ci ringrazia Dio che sa ringraziare più abbondantemente di questo mondo.
Scopriamoci amati dal Signore. Amiamoci e amiamo secondo lo stile di Dio, perché la nostra vita sia sempre più eucaristica e sarà il banchetto nuziale della vita!

Buona domenica nel Signore a tutti voi!








 

mercoledì 20 agosto 2025

XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

PASSARE PER LA PORTA STRETTA


Continuiamo il nostro percorso di fede con Gesù, diretti verso Gerusalemme, senza sosta. Con Lui percorriamo con risolutezza quella via che lo porterà all'ingiusta morte di croce. Questo percorso è un motivo fondamentale che lo stesso Evangelista vuole evidenziare per noi: camminare con Gesù.
Questa domenica sembra che il cammino si sia trasformato in una palestra particolare. Oggi si parla molto di fitness, la Parola di Dio parla di fitness spirituale; infatti, stiamo parlando della “corsa della salvezza”. Del resto, anche san Paolo ricorda la sua vita come una corsa verso una meta ben precisa (cf. Fil 3,8-14).
L’evangelista Luca, fin dalle prime righe di questa pagina del Vangelo, mette in bocca a “un tale” questa domanda rivolta a Gesù: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”.
Gesù non risponde direttamente alla domanda, ma orienta verso una introspezione della vita, verso una responsabilità con una immagine e un movimento: passa dalla porta stretta.
Questo passare dalla porta stretta è inteso come una lotta. Di quale lotta si parla? La lotta cui si fa riferimento è la stessa che il Signore ha affrontato nella sua passione con la preghiera (cf. Lc 24,44). A tal motivo verso la metà del XVIII secolo sant’Alfonso Maria de Liguori disse: “chi prega si salva, chi non prega si danna!”. Ma siamo sicuri che basti solo la preghiera per salvarsi? Oppure, visto che siamo nell’anno Santo Giubilare, basta attraversare la porta Santa per essere salvati?
Direi di no. Gesù parla sì di una porta stretta, piccola, ma non parla di quella materiale parla di se stesso. Passare attraverso di lui significa farsi piccoli come lui, perché solo i piccoli riescono a passare per le porte strette e piccole non di certo un obeso. Ecco perché altrove Gesù ci ha detto: «se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3).
Questa domenica abbiamo Gesù che appare come profeta che ammonisce, avverte, minaccia così come faceva il Battista. E questo per scuotere alle esigenze del Regno. Per questo abbiamo l’immagine di una porta stretta.
Abitualmente ciò che è stretto è quanto non ci sta bene. La porta stretta rappresenta, non solo Gesù, ma le difficoltà, la mortificazione, il sacrificio, tutto l’opposto alle comodità. “Il Vangelo, infatti, è uno specchio impietoso: riflette ciò che è umano, denuncia ciò che è disumano” (D. Battaglia). Questa è la via di Gesù, è questa la porta che ci fa entrare in Paradiso, la via difficile e stretta, la via povera, la via della rinuncia. Per questo Gesù mostrandoci la porta stretta ci invita alla conversione che è la stessa vita che ha tracciato Gesù, perché è Lui il metro di misura della nostra vita e non il nostro comune pensare. Per vivere come Lui, per vivere dei suoi insegnamenti occorre liberarsi di quella corazza che tutti i giorni indossiamo. Togliere gli eventuali chiavistelli o paletti che sempre mettiamo al nostro cuore. Occorre svegliarci dal torpore spirituale, dall’abitudine al devozionismo, dal non impegnarci alla sua sequela.
Riempiamo di senso la nostra vita partendo dalla piccolezza del cuore, umili e disposti a servire gli altri come fece Gesù durante la sua vita terrena. Per tanti è facile entrare in chiesa, partecipare a una Messa, farsi la comunione ma per tanti è difficile attraversare la porta stretta che richiede sacrificio e rinuncia alle comodità della vita, ma solo attraverso di essa si può raggiungere la salvezza e sedersi alla mensa del Regno di Dio.
Gesù questa domenica ci mette davanti la porta stretta perché vuole che facciamo una scelta consapevole per seguirlo e vivere secondo il suo Vangelo, testimoniando una vita vissuta nell’amore e nel servizio verso gli altri. Questa sembra una strada destinata a pochi privilegiati, ma non è così: è aperta a tutti coloro che decidono di abbracciare lo stile della vita che Lui ha abbracciato e indicato attraverso il Vangelo. Proviamo allora a non addolcire, come a volte siamo tentati di fare, il messaggio di Gesù che ci indica la via della salvezza. Il cammino che stiamo facendo, infatti, è verso la croce e non verso il circo.
C'è bisogno di guardarci dentro. Ecco perché Gesù sposta con decisione la prospettiva dal “chi” al “come” in quanto certe domande le considera sterili perché non hanno alcuna attinenza con la vita reale. Allora, senza nessun fraintendimento, non saranno la quantità delle Messe, i posti in prima fila, non la quantità delle comunioni, non la quantità delle benedizioni, ma la purezza di cuore, la purezza di un bambino che ci salva.
Chiediamo durante l’Eucarestia domenicale di essere purificati da quei bagagli personali, da quella presunzione, dall’orgoglio spirituale e accogliere dentro il proprio cuore, in piena umiltà, Dio perché ci trasformi come Lui: in amore, in misericordia, in perdono.
Continuiamo allora il nostro percorso di fede santificandoci lasciando combaciare il nostro orizzonte non col proprio io, ma con Dio e con la logica del Regno.

Buona domenica nel Signore a tutti voi!