giovedì 6 novembre 2025

DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE (ANNO C)

SIAMO TEMPIO DI DIO!


Siamo alla XXXII domenica del Tempo Ordinario e festeggiamo la dedicazione della Basilica di san Giovanni in Laterano: la cattedra del Vescovo di Roma, il Papa, la Chiesa madre di tutte le Chiese.
Celebrare questa festa non ci riporta in un semplice ricordo di un Tempio costruito con mani d'uomo, ma a contemplare la vera Cattedrale che è Cristo Gesù.
Oggi siamo chiamati a celebrare il Tempio spirituale, cioè le persone abitate dallo Spirito. Per questo, Paolo scrivendo ai Corinzi ci dice: «Sorelle e fratelli, voi siete l’edificio di Dio». questo perché Dio non piace essere rinchiuso in un recinto di mura ma vuole abitare dentro le nostre storie, dentro le nostre vite.
Nelle pagine del Vangelo Gesù è l’esperienza vivente dell’alleanza di Dio con il suo popolo e con il brano odierno, Gesù denuncia un Tempio che non risponde più a questo proposito. Ecco perché, dopo aver rovesciato i tavoli dei mercanti nel Tempio di Gerusalemme, rivendica la sua autorevolezza affermando: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» e l'Evangelista commenta: «ma Egli parlava del tempio del suo corpo».
Il Tempio del suo corpo è la comunità cristiana, apparteniamo a Lui come ci ricorda san Paolo in alcuni passi (cf. Rm 14,7-8), siamo corpo del Cristo risorto, che non è un luogo di mercato, non è il luogo del do ut des, ma è la relazione gratuita di amore autentico e generoso che si costruisce giorno dopo giorno e non quando abbiamo tempo aspettando un domani senza partire dall’oggi.
Possiamo, allora, chiederci: come usiamo il Tempio del nostro quartiere, della nostra città, dove abitualmente ci rechiamo? Quale sacralità viviamo nel Tempio dentro e fuori di noi? Certo, se le nostre orecchie sono più tese verso lo squillo di un cellulare, non stiamo dando tutta questa importanza alla sacralità del Tempio. Se la nostra vita è più tesa verso il peccato, non stiamo dando splendore alla nostra Basilica interiore, cioè l’anima.
Per questo, oggi, non celebriamo una delle tante chiese da visitare, noi oggi celebriamo la Chiesa come mistero di salvezza, celebriamo la Chiesa come sposa del Signore, come corpo di Cristo, come popolo di Dio, come tempio dello Spirito Santo. Questa è una realtà unita dall’amore di Dio, che è santa per la presenza del Signore, che è universale, aperta a tutti, che è apostolica, fondata sulla testimonianza autorevole dei primi testimoni. Espressioni che diciamo nella professione di fede. Quindi non un mercato ma l’accoglienza dell’offerta del Suo amore, sigillato dalla sua morte gloriosa, dove troveremo un velo squarciato, cioè il segno di una nuova vita, quella vera, la vita incorruttibile dell’amore di Dio che si comunica a ciascuno di noi.
Forse tutto questo lo abbiamo dimenticato, oppure non gli diamo il giusto peso, la giusta consistenza. Oggi il Signore, con la sua frusta, smaschera il nostro modo di fare, smaschera tutte le forme di strumentalizzazione di Dio e della religione. Troppe volte, infatti, con la nostra religiosità abbiamo legittimato le nostre azioni e facendo così abbiamo solo bestemmiato! La nostra religiosità, il nostro modo di ricercare Dio è diventata una compravendita e non meravigliamoci se un ministro di Dio interviene in questo accusandolo di farci perdere la fede: non sta facendo perdere la fede a nessuno, anzi, tutt’altro. L'amore è anche questo: la decisione forte di saper dire “no” a ciò che non è secondo Dio, in quanto non fa bene, non fa fiorire l'uomo.
C’è sempre più bisogno di una Chiesa che faccia risplendere il volto luminoso di Dio nella quotidianità della vita, nelle piccole cose, una Chiesa che faccia risplendere il Vangelo e non i propri desideri pieni di mille orizzonti ma non dell’orizzonte di Dio. Abbiamo sempre più bisogno di costruire una Chiesa sognata da Dio: che dall’ascolto della sua Parola costruisce il luogo che rende presente l’amore di Dio, perché questo è quello che insegna Gesù.
Se l’evangelista Giovanni ci ricorda che Gesù ha purificato il Tempio, non scendiamo allo stesso livello dei Giudei, i quali chiedono a Gesù un segno che attesti la sua autorità messianica. Il Signore chiede a ciascuno di noi un'intelligenza spirituale: il tempio nuovo non è più l'edificio fatto di pietre, ma il suo corpo, il vero tempio di Dio che celebra giorno dopo giorno la sua Pasqua, nuovo culto d’amore che trionfa sulla morte e sul peccato.
Lasciamoci allora purificare il cuore da tutto quello che macchia la nostra relazione con Dio, che sminuisce la nostra generosità, che soffoca la gratuità. Santa Maria Maddalena de’ Pazzi pregava lo Spirito Santo perché togliesse dal suo cuore quello che era suo e mettesse quanto era di Dio. Facciamolo anche noi, senza nessuna paura! Facciamo in modo che nella nostra anima risplenda la luce delle opere buone, perché possiamo glorificare Dio con la nostra vita.
Oggi, celebrando la festa della Cattedrale di Roma, prendiamo a cuore la Chiesa locale, la Chiesa del quartiere, la Parrocchia perché in essa possiamo costruire il Regno di Dio: adorando, amando, seguendo Cristo Gesù e con lui arrivare alla vita eterna!

Buona domenica nel Signore a tutti voi!









mercoledì 29 ottobre 2025

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa I)

VEDERE E CREDERE PER LA VITA ETERNA



Siamo nella XXXI domenica del Tempo Ordinario e quest’anno la liturgia ci fa celebrare il ricordo dei fedeli defunti.
Questo è qualcosa di molto bello, perché vogliamo tenere vivo un qualcosa del passato, anche se non torna indietro. E noi celebriamo questa commemorazione, oggi, domenica, “nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale” (dalla Liturgia).
Il Vangelo che ascoltiamo (o che abbiamo ascoltato) non parla della morte, ma della vita. Del resto dalla prima lettura abbiamo appreso da Giobbe: «Il mio Redentore è vivo. Ultimo si ergerà sulla polvere. Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso» (Gb 19,1.23-27a).
Parole che professano la propria fede nella resurrezione, parole che parlano di vita eterna e, in queste parole, tutti noi abbiamo un modello di speranza. Forse facciamo fatica a comprendere tutto questo, però possiamo arrivarci. Pensiamo alla parola cimitero che significa “il luogo del riposo”. Infatti, dai primi tempi della Chiesa i cimiteri sono pensati come i luoghi del riposo nell'attesa della risurrezione.
Dormire è un'immagine molto povera, Gesù stesso ne ha fatto uso di quest’immagine quando ha detto ai discepoli: Lazzaro non è morto ma dorme (cf. Gv 11,11). Per Gesù, infatti, morte è un sonno e dal sonno ci si risveglia. Anche Paolo riprende la stessa immagine quando scrive ai Tessalonicesi che erano preoccupati della sorte dei loro defunti e dice loro: Fratelli, non vogliamo lasciarvi nell'ignoranza riguardo a coloro che si sono addormentati, la traduzione della Bibbia dice coloro che sono morti, ma Paolo non ha detto morti, coloro che si sono addormentati, perché non vogliamo che siate tristi come coloro che non hanno speranza (1Tes 4,13). Quindi possiamo capire che la parola “riposo” ci aiuta a comprendere che il cimitero non è un luogo di fine ma di transito. Ieri, primo novembre, abbiamo celebrato tutti i santi. Di loro noi ricordiamo, di volta in volta, il giorno della morte, del loro transito ed è per questo transito che preghiamo per i defunti con una preghiera comune a tutti: l’eterno riposo. Ecco, tutto questo ci fa pensare alla vita eterna.
Arriviamo al nostro brano evangelico, messo nel contesto di un grande discorso che Gesù fa a Cafarnao dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Esso parla della missione di Gesù che è venuto per portare un altro pane, quello che alimenta la vita che non perisce, la vita eterna. Questo ci fa pensare anzitutto al grande amore che Dio ha per ciascuno di noi, di quanto siamo preziosi ai suoi occhi (cf. Is 43), per questo l’Evangelista oggi sottolinea per noi la volontà benevola del Padre, che invia il Figlio nel mondo per renderci partecipi della sua stessa vita. Non è dunque la morte a pronunciare l'ultima parola sulla storia del mondo, ma Dio per mezzo del suo Figlio che svela la volontà del Padre: che tutti siano salvati, perché il Figlio non può perdere nessuno di quelli che il Padre gli ha affidato.
Due sono i verbi da vivere: “vedere” e “credere”, due verbi che ci accompagnano nel cammino di fede. Il primo ci dice che il vedere il Figlio è una esperienza che possiamo concretizzare nell’ascolto della Parola, che non è un semplice contemplare Gesù, ma un fare della Parola vita della nostra vita.
Il secondo verbo, “credere”, ci fa dire che alla base ci sta anche un rifiuto ma Gesù non scappa davanti ai nostri rifiuti. Del resto, Egli non obbliga nessuno a seguirlo, perché continua a cercarci, ci ama tutti indistintamente. Il verbo vuole indicare l’atteggiamento di chi si fida e di chi si affida. Credere in Gesù, significa vivere ogni giorno quell'amore che lui stesso ha vissuto in modo pieno verso Dio e i nostri fratelli. Credere in Gesù è l’unica via di accesso alla vita eterna.
Con questi verbi, “vedere” e “credere”, siamo chiamati a vivere la bella esperienza dell’amore di Gesù, che è per tutti, anche per il più miserabile e peccatore degli uomini. “Vivere d’amore è tenere in custodia Te stesso, Verbo increato, Parola del mio Dio” diceva santa Teresa di Gesù Bambino. Questo era per lei credere nella eterna.
Oggi, dall’esperienza della morte, dove la fede in quel momento buio fa fatica a parlare al nostro cuore, proviamo ad avere uno sguardo oltre l’orizzonte, come l’ebbe Giobbe, verso l’orizzonte infinito di Dio. Possiamo imparare dalle nostre sofferenze, dalla morte dei nostri cari, da una morte che non ci aspettavamo per entrare in quel mistero e sentire il sussurro di un silenzio sonoro in cui Dio ci parla, in cui Dio ancora una volta ci mostra il suo amore: non vuole perdere nessuno! Questo ci permetterà di sentirci non solo figli amati, ma sperimenteremo di amare di più, fino a donare la luce di Dio agli altri, fino all’incontro finale, faccia a faccia, nella vita eterna.
Oggi è un giorno particolare in cui innalziamo preghiere a Dio per i nostri cari defunti. Ringraziamo, anzitutto, Dio per averceli donati e messi al nostro fianco. Forse, per noi non erano perfetti, ma la loro presenza nella nostra vita è stata significativa e ha lasciato segni di amore. Ma ringraziamo anche loro. Oggi, forse, può affiorare alla mente un torto che abbiamo arrecato a qualcuno di loro e che non abbiamo riparato.
Questo è il giorno propizio per chiedere perdono, magari mentre siamo davanti alla loro tomba e siamo certi che questo perdono loro ce lo concedono. Ma può anche accadere che siamo noi ad essere in credito, ad essere chiamati a perdonare qualche torto, forse anche grave, che ci è stato fatto. Facciamolo, questo è il comportamento di ogni battezzato. 
Crediamo alla Parola del Signore e accogliamo le Sue parole: “io ti risusciterò nell’ultimo giorno!”.

Buona domenica nel Signore a tutti voi!