mercoledì 20 novembre 2024

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo

GESÙ RE DELL'AMORE


Con la solennità di Cristo Re, anche quest’anno siamo arrivati alla conclusione dell’anno liturgico (del ciclo B). Molte cose son passate durante questo anno; adesso facciamo un bilancio: chiediamoci come l’abbiamo vissuto, se abbiamo usato quella saggezza per distinguere ciò che davvero è importante, essenziale, da ciò che non lo è.
Celebrando questa solennità volgiamo lo sguardo a Gesù quale re dell’universo che ci chiama a proiettarci verso le realtà ultime della storia, cioè il suo Regno definitivo ed eterno manifestando la sua signoria, alla fine dei tempi, quando “verrà a giudicare i vivi e i morti”, così come noi, cristiani, professiamo.
Questa domenica accogliamo il Vangelo narrato dall’evangelista Giovanni, dove ci viene presentato quella scena centrale del processo di Gesù davanti a Pilato, incentrato sul tema della regalità nel contesto della passione, dell’Ora di Gesù, in cui croce e gloria coincideranno.
Domandiamoci pure: in che cosa consiste questa regalità che, sempre secondo le parole di Gesù, «non è di questo mondo»?
Gesù stesso chiarisce che la natura del suo regno non è potere mondano, politico, ma amore che serve. Lo ha sempre dimostrato. Ora, Egli “governa” il suo popolo comunicando la salvezza immolandosi per amore sulla Croce, facendo così risplendere, dal trono regale della Croce, il Regno di Dio; trono da cui scaturiscono le sorgenti d’acqua viva della grazia, della misericordia, della vita nuova, dell’alleanza d’amore piena e definitiva.
Purtroppo, ancora ai nostri giorni lottiamo contro questa regalità di Cristo, soprattutto quando dettiamo leggi o emettiamo giudizi sull’altro, quando adeguiamo l’altro al nostro pensiero o al nostro modo di fare fino a metterlo in ginocchio, con la pretesa di possedere la verità sull’altro come se fossimo il “deus ex machina”. Tutto questo non appartiene a Cristo Gesù ma al re di questo mondo legato all’esteriorità, legato a sé stesso, al suo primeggiare, al suo possedere. E chiediamoci allora: vogliamo ascoltare la voce dei re di questo mondo? oppure la voce di Gesù che ci fa camminare nel dono della vita orientandola verso una pienezza di vita?
Anche il Vangelo ci mostra la tipologia di re: da una parte Pilato legato da quel potere romano e dall’altra Gesù legato mani e piedi ma che mostra ancora una volta il suo amore per tutti e che ci insegna ad essere re attraverso atteggiamenti di ascolto, di umiltà, di servizio.
Con questa tipologia di re, il Vangelo odierno ci ricorda che uno dei doni più grandi con cui Dio ci ha benedetti è quello della libertà. Ma questo non vuol dire “fare quello che mi pare e piace” o farsi dominare da una società acefala. Il cristiano è libero, deve essere libero ed è chiamato a non tornare a essere schiavo di precetti e cose strane.
Il Vangelo ci dice che chiunque è dalla verità, cioè da Dio, ascolta la sua voce. Ascoltiamo allora la sua voce che non è altro che renderla fattiva nella vita di ogni giorno. Solo così Gesù esercita la sua regalità, il suo essere re. Essere sudditi di Gesù re significa essere evangelicamente e spiritualmente liberi (cfr. Gv 8,31-32). Gesù non costringe nessuno, lascia a ciascuno quella libertà di dare il proprio cuore, la propria coscienza, il proprio intimo, solo mossi e illuminati dalla Verità, trasformati dall’amore di Dio. È questo il potere regale che Gesù va annunciando. Questo è quello che abbiamo ricevuto nel giorno del nostro battesimo: la saggezza di Cristo Gesù per mezzo dello Spirito Santo! Questo dobbiamo vivere con una libertà matura che ci proietta verso il bene.
Forse vivere cristianamente in questa maniera è faticoso ma non impossibile, perché solo l’amore che viene dalla Croce di Cristo ci permette di vivere liberi, gioiosi, felici.
Oggi, celebrando e contemplando la regalità di Gesù, entriamoci fattivamente, lasciamo che l’amore che scaturisce dal cuore di Gesù pervada la nostra anima, la nostra vita. Accorgiamoci che servire e regnare sono il segreto di una pienezza di senso che ha maturato il dono di sé. Questa celebrazione ci ricorda di riprendere in mano il nostro battesimo perché abbiamo una regalità da esercitare sul mondo, partendo da se stessi, partendo dal nostro cuore perché regni l’ordine, l’armonia, la pace, l’amore.
Con questa solennità di Cristo Re, noi celebriamo questo potere, la regalità propria di chi ama senza misura e offre al mondo, con la propria vita, la vita stessa di Dio, unica vera salvezza e unica fonte di speranza e di gioia, anche se agli occhi di tante persone Cristo Gesù appare sconfitto ma ancora una volta non subisce una sconfitta, ma vive trionfante nell’amore, nel servizio, nella misericordia.
Allora concludiamo il nostro anno liturgico interrogandoci sulla regalità, sull’amore. È importante che ognuno di noi risvegli questa coscienza della Parola e della Verità nel proprio cuore. Intanto Gesù continuerà a mostrare chi è Dio: un Dio amante, un Dio ferito, un Dio che fa dell'amore l'unica misura, l'ultima ragione, la sola speranza.
Fidiamoci di Lui!

Buona domenica nel Signore a tutti voi!





 



 

giovedì 14 novembre 2024

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 PER OGNI FINE C'È UN NUOVO INIZIO



Siamo agli sgoccioli dell'anno liturgico per poi celebrare la solennità di Cristo Re. Di solito al termine di un anno si cerca di raccogliere ciò che è stato nella nostra vita, una vita che, ai nostri giorni, ha perso il suo valore, perché ha perso Dio. Troviamo, infatti, la vita relativizzata e insieme al suo relativismo, anche i cambiamenti climatici ci sconvolgono che ci fanno pensare a episodi apocalittici.
La Parola di Dio invece, facendo uso di un linguaggio apocalittico, ci aiuta a non sconvolgerci, a non scoraggiarci ma di porre sempre più fiducia in Dio. Certo, è facile quando si usa il termine apocalisse di pensare alla fine del mondo. Come del resto è più facile disperare che sperare.
Ma che cos’è quest’aggettivo che al solo pensiero ci spaventa? È una parola greca che vuol dire “togliere il velo”. Ed è quello che Gesù vuole fare: “togliere quel velo” che impedisce il senso di quanto sta accadendo. Infatti, la parola apocalisse più che la fine vuole indicare il fine, più che l'oscurità vuole illuminare, più che desolare vuole consolare. Purtroppo, nelle pagine del Vangelo troviamo un Gesù angosciato: «Il figlio dell'uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?» (Lc 18,8) e quest’angoscia è ancora ai nostri giorni perché la nostra fede è a rischio estinzione. C’è bisogno di radicarsi sempre più a Cristo e alla sua Parola, perché Lui è il cuore della fede cristiana: Gesù Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo per salvarci.
Non è facile, però, tra le fatiche e le angustie della vita tenere sempre accesa la fiamma della fede, quella stessa fede che ci è stata donata nel giorno del nostro battesimo. Non è facile vivere la battaglia della fede. La vita di fede richiede sforzo, fatica, lotta ma anche sofferenza.
Rimuovere tutto questo dalla vita di fede è una tentazione. La fede è semplice, ma non facile. San Paolo esorta a «combattere la buona battaglia della fede» (1Tm 1,18) e la definisce “bella”, perché contiene del positivo, è una battaglia diversa da quelle mondane, lontana da certe ideologie o contese che si trovano tra persone o gruppi vari. La fede ci fa fare una battaglia legittima facendo uso delle armi spirituali contro il peccato e contro il maligno e non contro uomini o con armi e mezzi mondani.
Ecco perché Gesù, questa domenica, vuole rincuorarci più che sconvolgerci, indirizzare la nostra vita e non risolvere enigmi della quotidianità. Per questo la celebrazione liturgica, riprendendo le parole del profeta Geremia, si apre all’insegna della speranza: «io ho progetti di pace e non di sventura» (Ger 29,11). Quindi non la fine del mondo ma il suo nuovo inizio, cioè quel fine verso cui il mondo procede, quel fine verso cui la nostra stessa vita procede, il compiersi di ogni speranza al di là e al di sopra di ogni attesa, in una pienezza che nessuno osa immaginare.
In questo mondo siamo un po' tutti fragili. L’Evangelista cita il sole, la luna, le stelle quegli astri che nel mondo pagano erano divinizzate e che poi sono caduti. Oggi la nostra vita necessità la caduta di tanti idoli che ci portiamo dentro e fuori e sarà così perché Dio non verrà mai meno. Per questo Gesù aggiunge «il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mc 13,31). La Parola di vita è ciò che rimane. Il punto di appoggio per la nostra fragilità sarà sempre l'amore di Dio per noi e non l'idolatria, quella stessa idolatria di cui Gesù stesso dice che cadrà, avrà fine confermando che la vita continuerà a scorrere, che la creazione continuerà a sgorgare da Lui, perché Lui è al centro di tutto. Il Vangelo sempre veniente va atteso, invocato e ascoltato perché ci dona quella speranza in Colui che tutto può e che con la sua morte ci ha dato la vita (Gv 10,10). Quindi «le mie parole non passeranno» vuol dire credere che la vita di Gesù ha qualcosa da dire alla nostra vita, vuol dire che fidarsi di Gesù è più saggio che fidarsi di qualsiasi altra cosa mondana. Vuol dire che nella nostra fragilità, dobbiamo farci trovare pronti, saldi nella fede. Le prime comunità cristiane capirono, nella loro fragilità, il senso di stare saldi nella fede per questo pregavano con queste parole: «Vieni Signore Gesù!». Ed era, e lo è anche per noi, il leitmotiv per continuare la “buona battaglia della fede” e nel frattempo contemplare il volto del Signore in ogni avvenimento della vita, pensando fin da adesso «a quel giorno e a quell'ora» carico di attesa vigile ed operosa, riposta fiduciosamente nelle mani del Signore.
Alla vigilia dell’apertura dell’Anno Giubilare abbiamo un motivo in più per riprendere in mano il senso del nostro essere cristiani e di confrontarci con la Parola di Dio. La stessa Parola di Dio che ci dice di non scoraggiarci davanti a certe situazioni, ma di andare avanti costruendo ogni giorno il Regno di Dio.
Ogni giorno c'è bisogno di conversione, di fede e di profezia (non come annunzio di sventura). C'è bisogno di non perdere mai di vista le ultime realtà della nostra esistenza ed è importante non tralasciare la preghiera, perché il Signore accresca in noi la fede, ravvivi la speranza e ci renda operosi nella carità.

Buona domenica nel Signore a tutti voi!