venerdì 21 dicembre 2007

NEL CANTO DI MARIA, IL NOSTRO CANTO

Un caro saluto a te che leggi quanto scrivo!

Che bello, il Vangelo ci porta un canto straordinario dell'anima (vedi Lc 1,46-55), non che altri canti non siano meravigliosi, straordinari, ma questo è il canto di Maria, è il canto che questa donna ha innalzato dal suo cuore, non solo per le meraviglie che ha compiuto in lei, ma che ancora oggi compie in noi.
Anche la prima lettura ci riporta lo stesso caso (vedi 1Sam 1,24-28). Abbiamo davanti un grido di riconoscenza: due donne: Anna, la madre del profeta Samuele, e Maria. Una sterile, l'altra vergine. Due grembi umanamente destinati a restare senza frutto, in cui sboccia il miracolo della vita. Ma è proprio di questa storia che si intessono i versetti del Magnificat. Sì, Anna e Maria cantano l'infecondità del loro seno divenuto prodigiosamente fecondo, cantano la vita, cantano la storia in cui i loro occhi sanno leggere l'impronta di Dio.
In questo canto non troviamo semplicemente una pura poesia. La pagine della Scrittura sono di un realismo anche crudo. Conoscono lo scandalo del male, le atrocità che un cuore umano può generare, quando rimane chiuso nella sua umiliante sterilità. La storia di ieri e la storia di oggi. La storia di sempre con le sue assurdità che oggi i mezzi di comunicazione portano più rapidamente a nostra conoscenza. Ebbene, Maria ci insegna a cantare questa storia, perché il suo occhio limpido sa andare oltre e cogliere la scia luminosa della presenza di Dio che il peccato non riesce a cancellare. Maria è colei che sa vivere "dentro" e lì nel suo grembo sente palpitare la vita. Da Maria possiamo imparare a rileggere la nostra vita e la nostra storia cercando di mettere in luce la scia luminosa del passaggio di Dio.
Preghiamo così: O Maria, apri il mio orecchio perché oltre il grido di morte che si leva da tante parti nella nostra società, sappia percepire il tenue vagito che annuncia il trionfo della vita. Rendimi, come te, seno accogliente, cuore che sa gioire e diffondere gioia, labbro su cui fiorisce la lode.