In questo periodo quaresimale la Parola che la Chiesa ci propone ci invita ripetutamente all'impegno dell'ascesi, di cui è tipico il digiuno.
Il digiuno, tuttavia, come ogni sforzo ascetico, lungi dall'essere una presa di posizione contro il corpo, anche se mediante una certa astensione dai cibi si è condotti a dominarne le propensioni viziose della gola, dell'ira, della lussuria ecc., è intimamente legato a due realtà: quella del primato dell'amore e quella della Passione e Morte di Gesù. Qualcuno di voi, infatti, mi scriveva: "contrariamente a quanto si pensa la quaresima non è un periodo triste e infelice costellato da rinunce, ma un periodo in cui possiamo riscoprire la gioia di seguire Cristo".
Quando Gesù si dona a noi nella preghiera, non è il momento di digiunare. Bisogna ricevere appieno il suo amore, lasciargli una libertà completa, sapendo che il regno di Dio può realizzarsi molto bene in noi in quel momento.
Quanto al rapporto col mistero di Gesù, il nostro digiuno acquista senso di amore, se lo immergiamo nel suo Mistero sempre attuale, basta pensare che nella Didachè (L'insegnamento degli Apostoli raccolte in un antichissimo libro del Il secolo) si raccomanda ai cristiani di digiunare il venerdì, giorno della morte del Signore, per essere a Lui più intimamente uniti. Gesù ha spezzato e sciolto ogni nostro laccio con la forza d'amore della sua Passione. Anche noi dobbiamo spezzare i lacci "dell'ego" che soffocano le nostre profonde possibilità di amare.
Quanto al rapporto con la carità, col primato dell'amore, lo stesso Isaia nella lettura di oggi ce ne indica il nesso. È Isaia a puntualizzare soprattutto quest'ultimo aspetto. Il vero digiuno, egli dice, non è togliersi il pane di bocca, ma privarsene per sfamare l'indigente; non è praticare una forma di ascesi, che potrebbe anche gratificarci, ma mortificare quegli appetiti disordinati che sono alla radice delle varie forme di oppressione; non è imporsi una rinuncia con lo sguardo compiaciuto rivolto al nostro "progresso spirituale", ma l'attenzione all'altro in cui riconoscere i tratti del fratello. "L'uomo che si è liberato dal giogo delle passioni che lo opprimono non fa più distinzione tra connazionali e stranieri, credenti e non credenti, schiavi o liberi. Essendo liberato interiormente, ha buone disposizioni verso tutti" (S. Massimo il confessore).
La Quaresima che abbiamo appena iniziato, invita al coraggio della verità degli atti e delle scelte. Il testo di Matteo (vedi Mt 9,14-15) vuole affermare che con la presenza del Messia i discepoli non possono essere imprigionati dal digiuno giudaico; Cristo infatti ha inaugurato la "nuova giustizia". La comunità ecclesiale capisce il vero significato del digiuno e delle pratiche ascetiche, con un riferimento Cristologico e un orientamento di solidarietà. Tale è la prospettiva di una santità evangelica, che si alimenta della Parola di Dio per pensare secondo il cuore di Dio.
Fermiamoci allora riflettendo, cercando di cogliere il Veniente. Esaminiamo il significato che diamo al digiuno: potrebbe nascondere una preoccupazione per il nostro corpo rivestita di slancio ascetico; potrebbe essere un esercizio di volontà finalizzato a conseguire uno scopo di autocontrollo; potrebbe essere un modo per dedicare il tempo della preparazione e consumazione dei pasti 'a far compagnia' a Gesù.
Proviamo a pensare le parole di Isaia: se cioè l'amore, la carità per il fratello e la sorella sono a fondamento del mio digiunare e mettiamo il tutto in una fiduciosa preghiera.