giovedì 6 ottobre 2022

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

OLTRE LA LEBBRA DEL NOSTRO IO


Continuiamo il nostro andare con Gesù verso Gerusalemme. Questa domenica, però, il camminare con Lui è un po' strano: ci fa fare il giro dell'oca. Con questa stranezza geografica Gesù entra in un villaggio, entra nel nostro quartiere, nella vita di tutti i giorni, la “attraversa”, il suo passaggio vuole addolcire l'anima e sanarla dalla lebbra.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma non sono lebbroso! Non ho la peste!
Gesù passa in mezzo a questo groviglio di lebbra che non si riconosce, passa in mezzo a noi che diciamo di star bene e invece soffriamo dentro, perché non conosciamo Dio. Alla Samaritana al pozzo Gesù disse: "se tu conoscessi il dono di Dio" (Gv 4,10). Sant’Agostino denunciava questo passaggio con la paura di non accorgersi. Oggi queste parole, nella guarigione dei lebbrosi, risuonano ancora.
Chi sono i lebbrosi? Sono uomini e donne con una malattia infettiva, dal corpo corrotto, e che per la Legge erano classificati impuri, peccatori e venivano esclusi dalla comunità religiosa.
Questa domenica ognuno di noi è chiamato a rivedere la propria fede martoriata dalla “lebbra della vita”, per tutte quelle volte che viviamo una vita rassegnata, una vita nell'indifferenza. Per tutte quelle volte che pensiamo che esista solo il nostro mondo, che non andiamo oltre il proprio naso. Per quelle volte che emarginiamo l’altro dimenticando che l’altro siamo noi. Per tutte quelle volte che ascoltiamo superficialmente Gesù e cadiamo nella tiepidezza spirituale, lasciando la nostra vita aggrovigliata da tante situazioni e incapacità.
C'è un dono che nasce dalla Parola. C'è una grazia che ci è stata consegnata nel giorno del Battesimo: la fede. Come viviamo questo grande dono?
Il brano evangelico ci mostra come viene vissuta la fede da questi dieci lebbrosi. Ci sta chi è capace di vedersi sanato e dire il suo grazie nella vita di ogni giorno e chi invece, pur vedendosi sanato, continua a vivere nel suo orgoglio.
Quante volte il nostro dirci cristiani è solo di facciata, non torniamo indietro per fare Eucarestia (Eucarestia significa rendimento di grazie), pensiamo che tutto sia al proprio posto ma continuiamo a vivere nella nostra lebbra. Forse quasi quasi questa modalità ci piace. Del resto, oggi nella società sono
venuti molto meno i valori e prevale l’individualismo, l’egocentrismo, l’apparenza.
Dio ha detto ad Abramo di camminare alla sua presenza e di essere irreprensibile. Quest’invito tutti noi lo viviamo la domenica con l'andare a Messa. Purtroppo, lo facciamo molto meccanico e non viviamo l’incontro con il Signore, non ci rendiamo conto di essere alla sua presenza, una presenza a cui non diamo un certo peso, un certo valore: prima i miei tempi, prima il mio cellulare, prima io e poi Dio. Anche nel fare la comunione non si dà il giusto peso e non perché si riceve l’Eucarestia in bocca o in mano, purtroppo anche questo atto si presenta meccanico, arriviamo a metà Messa, arriviamo al momento della comunione e ci mettiamo in fila per ricevere Gesù, per far comunione con Lui. Ma per far comunione con Gesù, il tuo cuore deve palpitare di gioia dal momento che ti prepari per venire a Messa, quando sei sulla soglia della porta della chiesa, quando inizi con tutti la Celebrazione dall’inizio, quando ti nutri della sua Parola, quando ti lasci penetrare dal suo amore sacrificale, quando ti metti in fila con gli altri per riceverlo, quando raccogli la sua benedizione per portarla nella vita di ogni giorno, per portarla all’altro e sempre con gioia.
Purtroppo, una volta assolto il precetto, mettiamo a tacere Dio e i suoi ministri. Per fortuna non tutti la pensano così.
Tra questi abbiamo uno "straniero" che si siede alla mensa della misericordia, possiamo dire anche un divorziato su cui spesso, uomini e donne di prima panca puntano il dito, lo emarginano. Oggi si parla di pastorale dei divorziati, pastorale che a tanti non piace e puntano il dito contro Papa Francesco e tutta la Chiesa, dimenticando che stanno puntando il dito contro se stessi.
Uno solo la pensa diversamente: un Samaritano, un escluso. Sono veramente pochi coloro che la pensano diversamente! Sono veramente pochi quelli che vanno da Gesù, fanno ritorno a Lui. Sono veramente pochi coloro che accolgono la salvezza. Gli altri sembra che abbiano assunto la posizione di Giuda, che pensava di risolvere il problema dei Romani e invece Gesù pensava a tutt’altro, pensava a tutti, pensava agli esclusi, pensava agli smarriti di cuore.
Ricordiamoci che la fede, dono di Dio all'uomo, ha bisogno di una risposta-adesione della persona che per sua natura si manifesta in una continua crescita e maturazione.
Il Vangelo odierno invita tutti a superare la barriera della lebbra che si manifesta come un ripiego su se stessi, sul proprio peccato: un restare esclusi. La Salvezza, infatti, è per tutti.
Il Samaritano, in piena libertà, l'ha capito e non è solo viene guarito dal suo male ma è anche salvato. Gli altri nove no! In loro possiamo osservare una fede rinata ma che subito muore perché non è innestata in Cristo Gesù, in Dio. Però anche questi rimangono nel pensiero del Padre, anche loro necessitano di quell’amore, di quella salvezza… ma solo se apriranno il loro cuore.
Dio ci chiama alla salvezza e alla gioia e al rendimento di grazie autentico, in qualsiasi momento della nostra vita: bella o brutta che sia (cfr. 1Ts 5,18), rendendo sempre più bella la nostra vita testimoniando l'amore misericordioso di Dio che continuamente dona. Un emarginato l'ha fatto. Ed io?

Buona domenica nel Signore a tutti voi!