giovedì 20 ottobre 2022

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

COME MI RELAZIONO CON DIO? 
 
 
Ritorna, questa domenica, alla nostra meditazione la parabola del fariseo e del pubblicano al Tempio! Essa ci introduce nel cuore dell'esperienza cristiana con una profondità sempre nuova, come se fosse la prima volta che la ascoltiamo. E in quest’esperienza ci accompagnano le parole del Salmista che troviamo nell’antifona d’ingresso alla Messa: "Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto" (Sal 104,3-4). Con queste parole, dove risuonano atteggiamenti oranti, continua la catechesi sulla preghiera intrapresa domenica scorsa, dove tutti eravamo invitati a perseverare nella preghiera.
Se la volta scorsa insieme alla perseveranza è stato detto di riattivare la parte recondita del nostro cuore per essere connessi con Dio, questa domenica, l’evangelista Luca ci dice che la preghiera ha una sua grammatica, una grammatica che nasce dall'umiltà.
Pregare non è una questione di continue preghiere prese da un libro di devozioni come ci hanno insegnato da piccoli. Non è un ripetere o aggiungere parole, Gesù stesso ce lo dice (cfr. Mt 6,7-8)!
La preghiera non è un occupare parte della giornata per riempirla di qualcosa, ma come abbiamo detto con il Salmista, è un cercare Dio, uno stare dinanzi a Lui, un gioire in Lui, un abitare Dio.
Questa grammatica della preghiera, Luca ce la presenta con due uomini che salgono al Tempio, cioè due persone uguali nella natura ma diversi nel relazionarsi.
I due uomini che salgono al tempio sono un fariseo e un pubblicano. Questi cercano Dio, riconoscono di avere radice in Dio. A guardarli, anche grammaticalmente, sembra che inizino bene la loro preghiera ma gli atteggiamenti sono diversi.
Vedendo il dettaglio, il fariseo è colui che subito va ai primi posti, in lui rispecchia una dimensione "antropologica": egli si ritiene il centro del mondo; un mondo che egli stesso disprezza. La sua "preghiera" di ringraziamento è vuota, è un monologo e soprattutto non parla di sé, ma degli altri. La sua preghiera non è espressione di gioia per l'intimità sperimentata con Dio, ma di compiacimento per il suo essere diverso dagli altri: elenca ciò di cui si priva (il digiuno) e ciò che dona (le decime), ma non ciò che Dio gli dona.
L'evangelista sottolinea che il fariseo è tutto rivolto verso di sé e non verso Dio. Se guarda agli altri (“non sono come questo pubblicano”, dice) è solo per gettare su di loro ciò che egli rifiuta di vedere dentro di sé continuando a vivere di una arroganza spirituale e orgoglioso di sé stesso. Quante volte veniamo in chiesa e ci mettiamo in mostra, ci mettiamo a guardare l’altro come se dovessimo guardare il vestito della sposa, a giudicarlo, ad aggredirlo fino a farlo scappare. In chiesa non si viene per questo ma per stare con Dio nella comunione con tutta la comunità cristiana. Quando veniamo in chiesa e ci rapportiamo così, sappiamo che questo è un tipo di preghiera che ci allontana da Dio, che ci lascia nel proprio «io», anche se ci sentiamo “con la coscienza a posto”.
Ben diverso è l’atteggiamento del pubblicano, cioè di un pubblico peccatore che nella sua vita ha fatto cose poche edificanti e che si presenta al Tempio in piena umiltà e profonda contrizione (si batte il petto) per essere purificato da Colui che può tutto.
Quest’uomo considerato dai frequentatori del Tempio un impuro è cosciente della sua povertà, della sua imperfezione, delle sue ferite. La preghiera del pubblicano è grammaticalmente autentica e costruisce la sua preghiera in Dio, a differenza del fariseo che si pavoneggia e che costruisce la preghiera su sé stesso.
Con questa parabola, Gesù fa vedere attraverso il comportamento del fariseo e del pubblicano che ciò che conta per Dio è la purezza del cuore, la sincerità interiore che porta ad una relazione vera di comunione con Lui. Non si può fare come il fariseo che con il suo atteggiamento mette al centro sé stesso ed elimina la sua relazione con Dio e con gli uomini. Non si può pregare in chiesa per poi litigare con l’altro o essere pii e devoti e poi ignorare chi è nel bisogno. È la relazione con Dio che trasforma la nostra vita.
Il pubblicano invece non è pieno di sé, nella sua miseria si svela come uomo retto, riconoscendo la realtà della sua situazione di peccatore ed esprimendo con tanta umiltà, la sua dipendenza da Dio: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore”. La sua preghiera diventa momento purificatore perché, in piena umiltà, si riconosce peccatore e chiede la propria elemosina a Dio (Kyrie eleison) e ricomincia la sua storia d’amore con Dio.
Ricordiamoci che in ogni relazione con gli altri e con Dio, fin quando mettiamo al centro il nostro io non funzionerà mai.
La nostra relazione con Dio, la preghiera è uno stare fino alla fine dinanzi a Dio, come insegna san Paolo nella seconda Lettura e viverla come speranza e fiducia in Dio.
Gesù oggi ci chiede: come ci rapportiamo con Dio e con gli altri? Quale storia d’amore stiamo costruendo con Dio? Ci piace essere dalla parte del fariseo, tanto da vivere un’anemia della fede e poi magari in prima fila a giudicare?
Al di là della risposta che ognuno darà, ricordiamoci che Dio guarda sempre il cuore e soprattutto un cuore umile, come fece con la Vergine Maria e con questo pubblicano.

Buona domenica nel Signore a tutti voi!