venerdì 25 ottobre 2019

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

PREGHIERA: APRIRE LA PORTA DELLA VITA A DIO!

La Parola di Dio di domenica scorsa ci invitava all'insistenza, a perseverare nella preghiera. Con le parole del Sal 104,3-4 si apre la liturgia di questa domenica: "Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto". 
In queste parole del Salmista risuonano atteggiamenti di preghiera. Infatti, anche questa domenica continua la catechesi sulla preghiera. Questa domenica Luca ci dice che la preghiera ha una sua grammatica, una grammatica che nasce dall'umiltà.
Gesù parla della preghiera per farci capire che la preghiera è l'espressione più intensa e più vera dell'esperienza interiore che l'uomo ha di se stesso, è la relazione più personale dell'uomo con Dio percepito come il Tu con il quale l'io dell'uomo trova pienamente se stesso, ed è la fonte da cui nasce la possibilità per l'uomo di entrare in relazione con gli altri. La proposta di Gesù è la preghiera, ma come via che l'uomo percorre nella verità, che nasce dal profondo del cuore, diventa esperienza di Dio e si apre all'amore per gli altri. Diversamente anche la stessa preghiera può trasformarsi in un'arma pericolosa.
Nel vangelo odierno due uomini salgono al Tempio per pregare. Essi riconoscono di avere radice in Dio. Questi sono un fariseo e un pubblicano. E fin qui sembra che tutto vada per il verso giusto.
Del fariseo più che l'appartenenza ad un gruppo, rispecchia una dimensione "antropologica": egli si ritiene il centro del mondo; un mondo che egli disprezza. La sua "preghiera" di ringraziamento non è espressione di gioia per l'intimità sperimentata con Dio, ma di compiacimento per il suo essere diverso dagli altri: elenca ciò di cui si priva (il digiuno) e ciò che dona (le decime), ma non ciò che Dio gli dona.
L'evangelista sottolinea che il fariseo è tutto rivolto verso di sé e non verso Dio. Se guarda agli altri è solo per gettare su di loro ciò che egli rifiuta di vedere dentro di sé continuando a vivere di una arroganza spirituale. Questo è un tipo di preghiera che ci allontana da Dio, che ci lascia nel proprio «io».
Il pubblicano invece è adombrato dall'umiltà. È cosciente della sua povertà, della sua imperfezione. È come l'orante della prima lettura presa dal Siracide, la cui preghiera è ascoltata da Dio, perché è un uomo senza qualità. La preghiera del pubblicano è grammaticalmente autentica e costruisce la sua preghiera in Dio, a differenza del fariseo che la costruisce su se stesso.
Gesù fa vedere attraverso il comportamento del fariseo e del pubblicano che ciò che conta per Dio è la purezza del cuore, la sincerità che porta ad una relazione vera di comunione con Lui. Non si può fare come il fariseo che mette al centro se stesso che elimina ogni tipo di relazione non solo quella con Dio. Il pubblicano, invece, si svela come uomo retto, riconoscendo la realtà della sua situazione di peccatore ed esprimendo con umiltà, la sua dipendenza da Dio: "O Dio, abbi pietà di me, peccatore". La preghiera diventa momento purificatore perché, in piena umiltà, possa riconoscermi peccatore e chiedere la mia elemosina a Dio (Kyrie eleison).
Recuperiamo allora quello che abbiamo dimenticato: aprire la porta della nostra vita per far entrare Dio, perché il suo Spirito ci renda come Lui, capaci di fare gesti nuovi nella vita di tutti i giorni.

Buona Domenica nel Signore a tutti voi!