PERDONARE PERCHÈ PERDONATI!
Domenica scorsa, se ricordiamo, la Parola ci invitava a riflettere sulla dinamicità del perdono nella Comunità. Questa domenica, XXIV del Tempo Ordinario, continua questa dinamicità dandole le motivazioni. Per questo la liturgia della Parola è particolare per quanti si sentono bisognosi di essere accolti, consolati, perdonati. Anche se questa Parola di vita si scontra con quanti si sentono a posto con la coscienza, con quanti sostengono di non peccare mai e di non aver bisogno del sacramento della riconciliazione, di confessarsi perché risolvono il problema con un semplice atto di dolore. Quindi è il caso di dire, insieme all’evangelista Matteo, che l’impegno cristiano è quello di seguire le orme dell’unico e grande Maestro: Gesù Cristo che incarna in sé stesso il sacramento del perdono.
Già domenica scorsa si diceva di superare una visione moralista della Parola che confonde la bontà del perdono con il buonismo che lava tutto o per dirla con quella filosofia romana: “volemose bene” o perdonare cercando delle condizioni. Diciamocelo in faccia: non è facile perdonare, perché certi magoni continuano a bruciare il cuore, perché non accettiamo l’umiliazione sulla nostra debolezza. Facciamo fatica a perdonarci, figuriamoci perdonare gli altri.
Quanti di noi continuano a dire: “Perdono, ma non dimentico!”. E continua nel cuore a brulicare rancori, tensioni, opinioni diverse, affronti, offese, provocazioni e quanto rende difficile il perdono e la riconciliazione. Il nostro perdono deve essere instancabile, così come ci rivela la prima lettura di questa domenica presa dal Libro del Siracide ed è forse questo che ci costa di più.
Spesso, riusciamo a mala pena a perdonare l’altro, facendo peraltro capire che non deve però farlo un’altra volta come se fossero le monellerie di un bambino.
Ci risulta molto difficile perdonare sempre di nuovo, come se fosse la prima volta; ci risulta molto difficile avere abbastanza pazienza e abbastanza amore per guardare sempre con la stessa fiducia quella persona a cui bisogna perdonare diecimila volte la stessa cosa. Quindi se quella volta perdoniamo è solo di facciata perché il nostro cuore è fatto così: noi poniamo sempre limiti all’amore, così come fece Pietro: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». Ma Gesù come a Pietro risponde ancora oggi così: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette».
Vedete: anche Pietro con quest’espressione, afferra il messaggio di Gesù ma dimostra che fa fatica ad andare oltre quel semplice perdono del tempo limitato a una azione quantitativa. Gesù invece lo spinge a una azione qualitativa.
Il Vangelo di oggi, invece partendo da noi stessi, ci spinge a questa qualità del perdono invitandoci a perdonare come noi siamo perdonati da Dio. Questo è molto difficile perché siamo quelli che cercano i 100 danari più che i 10.000 talenti, cioè l’amore infinito di Dio. Occorre guardarsi dentro, perdonarsi per perdonare, allora arriva il perdono. Diversamente saremo spiritualmente paralizzati pur pensando di stare a posto con la propria coscienza o con i propri rosari e S. Messe.
Allora che cos’è il perdono di cui parla Gesù? Non è una questione di magnanimità ma quella disponibilità del cuore per risollevare chi è pentito del suo errore, del suo peccato e rimetterlo in carreggiata senza accusarlo. Il perdono è una realtà che totalizza tutta l'esistenza. Non ne puoi fare a meno. Il perdono è come il raggio di sole che illumina la vita e riscalda il cuore o se raggiunge il tuo orto o il tuo giardino, tutto ne è vivificato. A meno che da qualche parte ci siano grosse coperture di plastica che sottraggono il suolo alla sua azione salutare. Che sottraggono la gioia del perdono. E quante “coperture di plastica” dobbiamo eliminare dalla nostra vita spirituale?
Il Vangelo ci mostra l’infinito amore di Dio, ci mostra il suo Volto in quell’immagine dei 10.000 talenti. Una cifra molto sproporzionata per indicarci quanto sia grande il nostro debito verso Dio, che tuttavia ci viene condonato, mentre il debito che a noi sembra grandissimo è solo quello che scriviamo sul nostro registro delle offese (100 danari). Con Dio ho il debito di me stesso e di Lui stesso! Solo che non è un debito ma un dono infinito che Lui ci ha fatto, senza misura. Infatti, l’unica misura dell’amore è il non aver misura.
Noi al contrario continuiamo a calcolare con Lui e con tutti! Perdonare allora significa “ricordarsi per dimenticare” come dice il profeta Geremia: “io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31,34).
Allora il perdono è un conservare la possibilità di rapporti aperti verso coloro che hanno chiuso con noi, con coloro che ci hanno fatto del male. In questo senso, perdonare si traduce in imitazione di Dio misericordia che non ha misura perché in Cristo Gesù il Padre ha donato tutto e tutto continuerà a donarci.
Concludendo, Gesù ci lascia alla riflessione personale: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?».
Essere discepoli nella comunità di Gesù non vuol dire avere un semplice “a tu per tu con Dio”, ma vuol dire, come dice il Vangelo, “avere viscere di misericordia”, vivere l'amore compassionevole del Padre verso ogni fratello e sorella perché in lui o in lei ci sono le sembianze di Dio e quindi degni di essere amati in modo incondizionato.
Buona domenica nel Signore a tutti voi!
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