mercoledì 27 novembre 2024

I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C)

CUORE SALDO E IRREPRENSIBILE


Iniziamo il nuovo anno liturgico nel quale la Chiesa ci invita a leggere il Vangelo di Luca. Luca ha scritto con cura il suo vangelo per raccontare ciò che Gesù ha fatto e detto. È anche il biografo della Vergine Maria. È l’Evangelista del Natale del Signore. Luca è per tutti noi il discepolo di Gesù che, affascinato da Lui, non può non partire immediatamente per portare agli altri la gioia che ha cambiato la sua vita. Iniziamo allora l’Avvento con questo grande testimone della gioia.
Che cos’è l’Avvento? Generalmente questo tempo forte dell’anno caratterizza la preparazione alla solennità del Natale del Signore. Però l’Avvento non è esclusivamente questo ma una dimensione della vita, è la certezza che l'Oltre, l'Altissimo, il Nuovo, una nascita, sta per avvenire in noi, così come ci racconta il brano evangelico odierno.
L'Avvento però si può trasformare in spavento perché è l'irruzione del non aspettato, del diverso, dell'altro da noi. E sappiamo benissimo cosa significhi ai nostri giorni la novità: subito mettiamo le mani in avanti, tendiamo a respingerla, a temerla.
In questa prima domenica di Avvento, la Liturgia della Parola si apre con le promesse di Dio che presentano la memoria della prima venuta di Cristo e la profezia del suo ritorno, esplicitate con un Vangelo un po’ strano che dipinge un futuro catastrofico. Chiediamoci: se Luca è l’evangelista della gioia perché dobbiamo gioire per una catastrofe? Evidentemente il messaggio non riguarda una vera catastrofe. Infatti, Luca, facendo uso di un linguaggio apocalittico, ci proietta nella vita indicandoci il fine e come viverla e, per farlo, raschia quel mistero velato per renderlo comprensibile. Certo non ci è facile capire questo messaggio perché la parola catastrofe ci trasporta in quello che in questi ultimi tempi viviamo, soprattutto con il cambiamento climatico e i danni creati alle diverse popolazioni che subito ci fa pensare alla fine del mondo, magari aiutati dalle voci provenienti dai social a cui diamo più credito. Questo modo di fare la dice lunga sulla nostra fede, sul nostro partecipare alle Liturgie, sul nostro modo di ascoltare la Parola di Dio. In altre parole, non lasciamo che sia il Signore a condurci per mano nella storia di ogni giorno!
L’Avvento viene sempre indicato come un “tempo di attesa” e la parola “attendere” indica proprio questo “tendere verso qualcosa o qualcuno”.
C'è quindi un movimento, ma tutta la Parola di Dio è sempre in movimento. Dobbiamo esercitarci ad “attendere il Signore”. Dobbiamo avere quella consapevolezza della “vicina redenzione” e di “quel giorno improvviso” per far sì che non cadiamo nelle trappole della vita, per non essere storditi, ubriacati da essa. Il Vangelo sottolinea non la perdita di qualcosa o di qualcuno ma la non apertura al nuovo, alla vita. Per questo Gesù stesso ci dice di stare attenti a noi stessi, di vigilare sui nostri cuori perché ci sono dei rischi. Bisogna guardarsi non dall’altro ma da sé stessi, perché seguendo il proprio ego, il proprio orgoglio, si perde la fede. Attenzione allora, non lasciamo che il nostro cuore si “appesantisca”, che diventi incapace, che perda la sensibilità religiosa, che diventi indurito e pesante e faccia fatica a distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato; che faccia fatica a cogliere ciò che ha valore e ciò che è banale, effimero; che faccia fatica a cogliere realmente la situazione in cui si vive, cioè nell’idolatria, definita nel Vangelo con “dissipazioni”, “ubriachezze”, cioè, tutto quello che ci porta in un mondo irreale, illusorio.
Guardando quanto accade, sembra che cadiamo in certi meccanismi non per la nostra negligenza ma per disperazione. La fatica di reggere la vita, ci fa rifugiare in alcuni “antidolorifici”. Quindi, per Gesù, quell’essere “ubriachi” significa: non distinguere più ciò che è reale da ciò che non lo è, rimanendo condannati a una vita che alla fine non ci appartiene, a una vita mutata in tragedia, dramma che il Vangelo definisce “laccio”, cioè trappola.
Anche in questo contesto drammatico, anche se facciamo fatica a crederlo, l’amore del Signore è presente. L’invito è di stare attenti al nostro modo di esistere, di avere un cuore “saldo e irreprensibile” (1Ts 3,13) per saper leggere il senso della storia di ogni giorno, per coglierne il compimento e la piena realizzazione. Per questo Gesù propone alla nostra vita quotidiana un’alternativa: «Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».
Pregare, cioè, entrare in relazione con Dio, perché può aiutarci a una conoscenza critica del nostro esistere. Per entrare in relazione con Dio ci devo credere per primo, se no continueremo a rivolgere la nostra preghiera verso se stessi, verso le proprie forze, verso la propria volontà, come nella parabola del fariseo e del pubblicano al Tempio (Lc 18,9-14). Relazionarsi con Dio significa accorgersi che abbiamo bisogno di Lui, abbiamo bisogno di essere aiutati, sorretti dal suo amore. Relazionarsi con Dio significa tenere alta la speranza facendo sì che il Vangelo diventi vita della nostra vita, in particolare quando il mondo ci crolla addosso e cospiriamo contro la nostra serenità, allora proprio in quel momento, alziamo la testa, ci dice Gesù, sta nascendo qualcosa di nuovo, abbiamo bisogno di annusarne il suo profumo, senza nessuna paura e con gioia. Il crollo non è la fine ma l’inizio, l’inizio di un nuovo oggi. Viviamolo fedeli al nostro quotidiano e con Gesù!

Buon Avvento e buona domenica nel Signore a tutti voi!