giovedì 19 novembre 2020

XXXIV DOMENICA DEL T. O. Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo (ANNO A)

RECUPERARE LO SGUARDO DI DIO
  

Con questa domenica, solennità di Cristo Re, chiudiamo un anno liturgico. Domenica prossima, prima domenica di Avvento, ne inizieremo uno nuovo. Che cos'è l'anno liturgico? Brevemente diciamo che è un cammino composto di 52 settimane, offerto a tutto il popolo di Dio per conoscere e accogliere Gesù nella propria vita. L'alfa e l'omega di questo percorso è Cristo Re.
Guardare a Cristo Re significa anzitutto una appartenenza. L'uomo non potrà mai essere emancipato, esso appartiene sempre a qualcuno: o riconosce la sua appartenenza a Gesù, oppure diventa schiavo del peccato. Infatti, la regalità di Cristo è d'amore e non secondo i nostri schemi o i nostri bisogni. Tutto ciò che è opposto a Cristo stesso e al suo Vangelo di Carità, amore di Dio e degli uomini, non rientra nella regalità di Cristo.
Il Vangelo di Matteo ci presenta Cristo nella sua gloria prospettandoci i risultati della nostra fede terrena. Già nella prima lettura il profeta Ezechiele ci dice che questa prospettiva è fatta di giudizio "tra pecora e pecora". Il passare in rassegna le pecore indica che l'ingiustizia e il male non avranno l'ultima parola: ci sarà un "pastore-giudice".
Questa Celebrazione, attraverso la penna di Matteo, indica il tipo di Eucarestia che dobbiamo fare, che dobbiamo rendere a Dio: una conversione continua di tutto il nostro essere, che ci sveglia dal nostro torpore e ci conduce ad amare quanti ancora aspettano amore, solo così sarà riconosciuta la regalità di Cristo da tutti.
Il cuore del Vangelo, infatti, richiama all'Amore per eccellenza e ad amare... sempre. Non ci sono mezze misure. Tutti saremo radunati per essere interrogati sull'amore (San Giovanni della Croce). Chi più e chi meno. La domanda per tutti è uguale: hai amato? È finito il tempo di seguire un Cristo Gesù estetico. Bisogna seguire l'Amore non amato e poco conosciuto (Santa Maria Maddalena de' Pazzi). Infatti, cosa resterà della nostra vita se non l'amore?
Allora è il caso di interrogarci per capire come amiamo; come trascuriamo l'amore. Se per amare qualcuno, il sofferente, cerchiamo ancora il tornaconto e nel frattempo lo lasciamo nella sua solitudine sofferente, oppure amiamo e basta, senza tanti sotterfugi. Già il profeta Elia rimproverava questo tipo di credenza subdola (cfr. 1Re 18,21). 
Il Vangelo odierno ci dice che il non amare è paragonato ad aver perso lo sguardo di Dio. Perdere lo sguardo di Dio, biblicamente parlando, significa che la nostra vita è su un letto di morte. È facile pensare in certi casi a se stessi. San Paolo ci ricorda che "nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, ma per il Signore, per l'Amore" (Rm 14,7).
Perdendo lo sguardo di Dio perdiamo le opere buone del Vangelo lasciando ancora in piedi quella domanda che troviamo al principio: "che cosa hai fatto di tuo fratello?" (Gen 4,10).
Gesù interroga su queste opere buone del Vangelo. Interroga sullo stesso sguardo di Dio, su quello sguardo che ti estrae dal potere della morte. E c'è di più. Dice: "tutto quello che avete fatto (cioè le opere buone) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me".
Avere quest'attenzione verso l'altro, verso il sofferente, verso l'ultimo non è un optional ma è avere attenzione a Cristo stesso, perché tutti sono "la carne di Cristo". Avere attenzione all'altro, al sofferente, all'ultimo è entrare nel Regno e sentirsi dire: "Venite, benedetti dal Padre mia, prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo".
Sia questa domenica uno sprone alla nostra coscienza credente, affinché siamo sempre più convinti che condividere con gli ultimi, con i sofferenti, con i poveri ci permette di comprendere Gesù Cristo, Parola eterna del Padre, nella sua verità più profonda.

Buona Domenica nel Signore a tutti voi!




  
immagine: www.figliedellachiesa.org