giovedì 29 aprile 2021

V DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

RIMANERE INNESTATI A CRISTO

Carissimi, siamo nella V domenica di Pasqua e il Vangelo ci consegna la parabola della vite e i tralci per indicare la fedeltà, la comunione tra noi e Gesù. In altre parole per vivere da risorti.
L'immagine della vigna è molto cara al popolo di Israele, un'immagine abbondantemente usata dai Profeti e nei Salmi, un'immagine utile ed inequivocabile anche per noi, oggi.
Gesù definisce se stesso: “io sono la Vite!” e chiama “tralci” i suoi discepoli; ne consegue che la vigna è il Regno di Dio-Chiesa e che il vignaiolo è il Padre: cioè tutti facciamo parte della stessa pianta, come le scintille nel fuoco, come una goccia nel mare, come il respiro nell'aria!
Un contadino sa bene cosa significa essere tralcio legato alla vite e sa pure che è anche fragile. Gesù ne sottolinea il particolare: «chi rimane in me ed io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla».
Qui è presentata l'esigenza a perseverare nel restare uniti a Gesù; non è un optional ora si e ora no, ma perseverare. Egli dice che senza di Lui non possiamo fare nulla. Non possiamo confidare in noi stessi, ci allontaneremo dal Signore (cfr. Ger 17,5). Vivere per se stessi, nel proprio ambiente, chiusi, si muore. Confidare nel Signore significa avere vita (cfr. Ger 17,7-8; Sal 11,1). Poi, materialmente possiamo anche fare tante cose, ma spesso sono cose esteriori, inconsistenti, sterili, che vengono meno di fronte alle prove serie della vita.
Stare uniti a Cristo significa non essere sterili, non seccare, non essere inutili, pur restando fragili.
La nostra vita in genere si lega molto alle cose del mondo, ma siamo talmente libertini da cambiare da un momento all'altro e questo perché non diamo senso, amore, linfa vitale alla nostra esistenza. Ecco perché Gesù si rivela ancora una volta come la fonte della vita, l’albero da cui viene quella linfa capace di dare frutto alla nostra vita.
Nella nostra vita vi è un punto misterioso dove passa la linfa che è la vita stessa di Gesù, innestata in noi col Battesimo. Essa passa, purché rimanga stretto alla vite, cioè a Gesù, con l'unione della mia volontà a quella del Padre, mediante una vita di fede speranza e carità, alimentata dalla preghiera e dai sacramenti.
Cosa significa rimanere in Lui? Rimanere in Gesù significa fare di Lui l’origine sempre viva dei nostri sogni, dei progetti e realizzazioni.
Il verbo “rimanere” è una espressione usata spesso da Gesù, che richiama l’intima unione che vuol dire condivisione e partecipazione. E questo non in una forma passiva, come se fossimo “la bella addormentata nel bosco”. Rimanere in Lui è una forma dinamica, attiva e reciproca come Gesù stesso dice: «Rimanete in me e io in voi» e altrove ripete «verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Infatti, i tralci senza la vite non possono fare nulla perché non arriva la linfa, hanno bisogno della linfa per crescere e per dar frutto; ma anche l’albero, la vite ha bisogno dei tralci, perché i frutti non vengono attaccati all’albero, alla vite. È un bisogno reciproco, è un rimanere reciproco per dar frutto.
Ma come facciamo a rimanere in Cristo? Dice Gesù: «Se rimanete in me e le mie parole in voi». Posso rimanere unito a Cristo, se le sue parole sono nel mio cuore, se ogni giorno medito le sue parole, il suo Vangelo, se metto in pratica i comandamenti, se vivo le beatitudini.
Noi abitualmente teniamo nel cuore molteplici parole: ad esempio quelle del nostro “mito”, del cantante preferito, dell'attore o attrice del momento, del leader politico... ma sono tutte parole effimere, che scorrono via e non danno vita. Una e una sola è la Parola di vita che ci dona l'eternità, che ci purifica interiormente, che ci addita sulla giusta via e ci insegna l'arte di amare, di fare le opere di misericordia: la Parola di Gesù. Attraverso l’ascolto della Parola si realizza quel “rimanere in Lui”, e possiamo ripetere insieme a san Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). E Lui rimane in noi per darci la forza del portare frutto (cfr. Gv 5,15), per darci la forza della testimonianza con la quale cresce tutta la Chiesa, combattendo quelle parole incompatibili alla vita cristiana.
Questo combattimento il Vangelo l’ha descritto con la potatura. Se vogliamo essere forti, rigogliosi abbiamo bisogno della potatura. Ogni contadino sa cosa significa “potare”, sa che è un dono per la pianta e certamente potare non significa uccidere ma togliere quel superfluo per dare la giusta forza, per far nascere qualcosa di nuovo. E questo dono Dio lo fa a ciascuno di noi: mi lavora, mi pota perché fiorisca in me qualcosa di nuovo, di bello e promettente che abita in me.
Abbiamo bisogno di rimanere innestati alla vite, a Cristo. A vivere in un intimo rapporto d’amore con Lui per non cadere nella vanità, nel non senso, nella superficialità, nel peccato ma per amare «non a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18).
Ci facciamo coraggio a vicenda, con quella coscienza che anche se non sempre riusciamo a vivere nell’amore del Signore, che la nostra quotidianità è quel luogo dove possiamo imparare a crescere nell'amore e nell'abbandono fiducioso in Lui!

Buona domenica nel Signore a tutti voi!






immagine: www.impegnoeducativo.it