giovedì 21 aprile 2022

II DOMENICA DI PASQUA O DELLA DIVINA MISERICORDIA (ANNO C)

DALLA PAURA ALLA VITA IN CRISTO RISORTO


Siamo arrivati alla II Domenica di Pasqua. Questa domenica, fin dalle origini, è chiamata la domenica «in Albis». Agli inizi della Chiesa il battesimo era amministrato solo durante la notte di Pasqua, ed i battezzandi indossavano una tunica bianca che portavano poi per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, detta perciò domenica in cui si depongono le bianche vesti.
Questa domenica, san Giovanni Paolo II, durante il Giubileo del 2000, l’ha dedicata alla «Divina Misericordia». È importante ricordarlo, non per un puro fatto devozionale che in tanti, poi, va sul devozionismo, ma come una realtà di fede da vivere nella nostra vita di tutti i giorni.
Durante la settimana abbiamo ascoltato il Vangelo che narrava le apparizioni del Risorto. Anche questa domenica ne abbiamo una, presa dal vangelo di Giovanni, ai suoi discepoli il giorno stesso di Pasqua.
I discepoli si trovano nel cenacolo, con le porte sbarrate “per timore dei giudei”. Viene Gesù e, con il suo saluto di pace, la paura dei discepoli si trasforma in gioia. Paura e gioia, atteggiamenti puramente umani, ma l'evangelista Giovanni vuole indicarci un "luogo teologico", cioè l’uomo davanti alla realtà.
Purtroppo, nel Vangelo, questa realtà, è accerchiata dalla paura, un atteggiamento di chi percepisce la realtà e gli altri come ostili; la gioia è piuttosto la fiducia e la pace con cui il credente guarda il mondo intorno a lui.
La pericope chiude il vangelo di Giovanni ed è considerato la “prima conclusione” del quarto vangelo. Una prima conclusione tra dubbi, paure, vedere, toccare e che lascia aperta l'esperienza pasquale nel tempo e nell'eternità. È l'esperienza della chiesa di allora! È l'esperienza della chiesa di oggi!
Con questa conclusione, l’Evangelista ci presenta l’esperienza dell’apostolo Tommaso. Un'esperienza ancora vigente nella vita di tutti. Siamo, infatti, il popolo che cerca ancora dei segni, e, se non bastasse, ci aggrappiamo ai maghi, ai tarocchi e a quant'altro all'infuori di Gesù, all'infuori di Colui che tutto può, che può salvarci l'anima.
A questa figura, dunque, viene dedicato tempo, spazio, importanza. Chiediamoci allora: come mai l'esperienza di Tommaso chiude il Vangelo? In realtà non lo chiude ma lo apre alla vita. 
Il Vangelo di Giovanni è una testimonianza che annuncia ciò che il «noi» apostolico e della sua comunità ha udito, visto, contemplato e toccato di Gesù «Verbo della vita» (1Gv 1,1-4). E Tommaso, con i suoi atteggiamenti, aiuta a capire l’esperienza di Dio.
Dove sta, allora, la grandezza di Tommaso? La grandezza di Tommaso sta in ciò che chiede di vedere. C’è una fede che Tommaso sa di dover chiedere, ma questa fede nasce dal vedere e toccare i segni della passione del Signore, i segni della continuità tra la croce e la Risurrezione. Questi sono i segni che Tommaso chiede di vedere: i segni che trafiggono la nostra fede, ma che in una tomba vuota, risorge! Infatti, possiamo definire questo giorno come “la domenica di Tommaso”, di quel Tommaso che si fa prototipo di ogni credente, perché recuperi l'esperienza dell'incontro con Gesù Risorto.
Però, con il racconto dell'esperienza di Tommaso, la liturgia ci invita a ravvivare la nostra fede come un nuovo modo di vedere. Infatti, in questa domenica, Gesù ripete ancora una volta per tutti noi: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Credere, quindi, è un nuovo modo di uscire dalla tomba della paura, un nuovo modo di vedere, di sentire, di sperimentare l'incontro con il Risorto: è un toccare la misericordia di Dio che ha un volto concreto, reale: Gesù Risorto, lo stesso Gesù che dona la pace pasquale che non è liberazione spettacolare da quanto ci minaccia esteriormente e comunque non è nulla di automatico. È la certezza interiore della sua presenza, che si fa strada anche tra le incertezze e perplessità. È il dono-conquista di un cuore pacificato perché ancorato a Lui, fondato sulla roccia del suo amore e che sempre ci accompagna. Non, quindi, una soluzione immediata e miracolistica di tutti i problemi che ci agitano. Bensì realtà che matura anzitutto dentro di noi, per poi riverberarsi fuori e non viceversa. Una pace che attingiamo da Dio ma che non si costruisce senza il nostro impegno concreto!
Per essere avvolti da questa pace, bisogna riconoscersi umili, riconoscere la propria povertà, la propria miseria come fece Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!» (v. 28).
Questa è l’esperienza di Tommaso, un’esperienza che ci insegna che la nostra fede si scontrerà sempre con i nostri sepolcri ma che ha una certezza in Colui che ha ribaltato la nostra pietra tombale, perché tutti possiamo mettere il dito sulle ferite della storia dell'umanità, a riconoscere nel mondo, in mezzo ai poveri, ai malati, in qualunque sofferente Gesù Risorto, il Figlio di Dio e nello stesso tempo, a lasciarci ferire per Lui!
Questo ci conduce a riconoscerci ogni giorno fratelli e sorelle, Chiesa in cammino, in una vita di servizio. Pasqua è la vita intera, quotidiana, dei credenti con Cristo, che camminano dietro di Lui ascoltando la Sua voce, “senza stancarsi mai”, senza nessuna paura, perché nel Cristo Risorto una nuova vita è cominciata.
A ciascuno di noi, il dono di sperimentare questo nuovo incontro con Cristo Risorto!

Buona domenica nel Signore a tutti voi!