giovedì 15 settembre 2022

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

DIO COME SIGNORE O LE RICCHEZZE


Questa domenica, con la parabola dell'amministratore scaltro, Gesù ci fa capire la differenza di vita per chi segue il mondo e le sue cose e per chi segue Lui e il suo Vangelo.
Nel Vangelo troviamo un amministratore disonesto che viene lodato da Gesù e lo mette come esempio di comportamento. C’è qualcosa di strano in questa lode: perché lodare una persona disonesta, uno che ha rubato, uno che ha gestito malissimo l’amministrazione?
Qui più che la persona ad essere lodata è la sua scaltrezza, per questo Gesù va oltre quello che può apparire ai nostri occhi.
Con questa sua Parola Gesù invita a guardare alla nostra doppiezza di vita, a fare un bilancio della propria vita: perché, che ho fatto? Direbbe a caldo qualcuno.
Questa è la domenica della resa dei conti. Il Vangelo inizia mettendoci subito nella verità: «C'era un uomo ricco che aveva un amministratore».
Il Vangelo di oggi non è un problema dell’economia odierna. Oggi tutta la popolazione è chiamata a come risparmiare in bolletta. Qui non parliamo di come risparmiare denaro per non andare in rosso. La parabola è orientata a ben altro. Essa anzitutto ci dice che tutti noi siamo semplici amministratori e non padroni. San Paolo ci ricorda che siamo ministri di Cristo e suoi amministratori (cfr. 1Cor 4,1-2) e il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che siamo amministratori della Provvidenza (CCC, 2404). Tutto è dono suo. In effetti, ognuno di noi, ha ricevuto il germe della fede nel giorno del Battesimo, con annessi e connessi. Il problema, quindi, è come amministriamo questo gran bene ricevuto.
Certo non siamo dei grandi amministratori. Come possiamo godere allora delle dimore eterne, del Paradiso? Donando ciò che possediamo. Lo dice Gesù stesso: «fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (v. 9)
In pratica non siamo chiamati a lasciarci possedere dalle ricchezze che abbiamo ma saperle donare, con responsabilità, secondo la volontà di Dio, in ogni stagione della vita, nella gioia e nel dolore.
La vita non è nostra come tanti affermano: non siamo nessuno per poter decidere di soffrire o peggio: “staccare una spina”. Dio ci ha donato un tempo da vivere bene e nell’amore! Negare questo principio porta ciascuno di noi alla perversità, in ogni campo e azione della vita. Non siamo nessuno per poter decidere sulla mia e altrui vita.
L’uomo che si ritiene padrone usa e abusa di sé stesso, del prossimo e del creato prima o poi dovrà rendere conto del bene della vita che ha ricevuto. San Giovanni della Croce diceva: "alla sera della vita saremo giudicati sull'amore!".
Penso che non ci sia da stare tranquilli in quanto non siamo capaci di amare, forse ci viene più facile zoppicare con tutti e due i piedi, almeno se non va bene uno può andare meglio l'altro. Questo ragionamento però non regge: pensare di poter servire due padroni, pensare di ondivagare sulla fede, sulla vita. Si può essere fedeli a un solo padrone, perché il nostro cuore è fatto per l’integrità, la radicalità e la fedeltà. Ecco perché nella nostra vita si apre a un bivio dove dobbiamo saper scegliere: se la nostra vita è un dono o schiava dell’idolatria. Del resto, anche i beni materiali per quel che sono devono essere visti nella dimensione del dono e sarò ricco non solo in quello che possiedo ma anche nella mia generosità. Quello che ci fa ricchi non sono i beni ma l’amore.
Apriamo allora il nostro cuore a Dio ma anche agli ultimi per essere dono per l’altro, vivendo una fraternità universale, accoglienti e sempre pronti alla condivisione.
L'amministratore della parabola evangelica, ci insegna, sì ad essere scaltri, ma nel bene, puntando il tutto sulla misericordia, sulla solidarietà, sull'amore. Se si pensa di far guerra, non si avranno dei colpevoli ma della povera gente a pagarne le conseguenze.
Occorre aprirsi alla logica del Vangelo integro e limpido nelle intenzioni e nei comportamenti. Occorre che diventiamo artigiani di giustizia, artigiani di speranza per l’umanità (quella che in questi ultimi tempi affievolisce sempre più). Occorre usare misericordia, aprendoci alla solidarietà verso gli ultimi, nella gratuità e nella donazione di noi stessi ai fratelli, serviamo il padrone giusto: Dio.
Ogni giorno che viviamo è un invito alla conversione. Convertirsi è capire che non ci si salva da soli: cercando il bene dei fratelli compiremo il nostro bene e troveremo la salvezza, per quanto grandi siano i nostri peccati. La conversione è un'esortazione a non vivere nelle false illusioni e nel peccato che ci fanno perdere risorse, energie, tempo in attività inutili e dannose.
I veri discepoli di Cristo devono sempre tendere al conseguimento di quel “buon capitale per la vita futura”, come dice san Paolo (cfr. 1Tm 6,6-19) e la parabola ci dà delle indicazioni, delle virtù da applicare per conseguirlo: la vigilanza e la prudenza che devono produrre una giusta e reale conversione sotto la luce del discernimento e del consiglio che sono doni dello Spirito Santo.
Il nostro modello di vita è sempre Cristo che pur essendo Dio, «non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso» (Fil 2,6-7) e ci ha arricchiti con la sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9).

Buona Domenica nel Signore a tutti voi!