giovedì 26 gennaio 2023

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

CHIAMATI, CON CRISTO, ALLA FELICITÀ


Questa domenica la Parola di Dio ci destabilizza più del solito. Abbiamo davanti la pagina delle beatitudini. Nel tempo, infatti, molti commenti si sono succeduti con questo discorso di Gesù. Chissà quale ha inciso di più, non lo sappiamo. Diciamo semplicemente che questa domenica il Signore purifica il pensiero che abbiamo su Dio, il pensiero che abbiamo sulla felicità.
Il brano inizia con evidenziare la presenza delle folle cioè l’umanità, quella stessa umanità spesso ferita da noi stessi, quell’umanità irrorata dalle lacrime, che subisce ingiustizia, soprusi, inganni. Sono presenti anche quanti seguono Gesù e ci siamo anche noi, noi che ci diciamo credenti, noi che ci definiamo cristiani.
Gesù osserva la sofferenza dell’umanità e da maestro rivolgendosi ai discepoli, a quanti hanno scelto di seguirlo, a quanti oggi si definiscono cristiani, Egli con la sua autorevolezza dice come deve essere il discepolo, cioè il battezzato di ogni tempo e luogo, colui o colei che vuole chiamarsi cristiano, cristiana: comincia a dare una identità. In realtà l'identità descritta nelle beatitudini è quella stessa di Gesù. In pratica, chi vuole essere cristiano, chi vuole seguire Cristo non è una questione di preghiere da dire ma un vivere Cristo Gesù, un fare come Lui ha fatto nella vita di ogni giorno.
Come si presenta Gesù a noi? Egli parla di felicità ma non come la intendiamo noi ma come la intende Dio.
Nello scorrere una per una le beatitudini, vediamo che viene rovesciato il modo di vivere mondano per dare ampio spazio alla novità di Dio e riscoprirsi creatura di fronte a Dio.
Nella prima lettura, presa dal profeta Sofonia, è descritto questo spazio come un invito a cercare il Signore, soprattutto coloro che lo ascoltano, a cercarlo con umiltà e confidare nel suo nome.
C'è da chiedersi se sono felice secondo Dio, se la mia felicità sa accogliere la mia stessa fragilità.
Per capirlo dobbiamo avere davanti ai nostri occhi il Cristo Crocifisso e risorto, di avere «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (cfr. Fil 2,6-11), perché Egli è la personificazione delle beatitudini, con Lui e in Lui anche noi possiamo esserlo, perché Lui ci ha svelato il volto di un Dio felice, di un Dio che ci vuole felici.
Forse facciamo fatica a capire questa pagina dove abbiamo un Dio che ci vuole sempre dolenti, doloranti, sofferenti, sotto la croce a quei lineamenti che indicano la felicità per mezzo della persecuzione a causa del Vangelo.
No! Dio non ci vuole in una continua sofferenza e non sta nemmeno esaltando la sofferenza fino a farci allungare il muso ma ci chiede di vivere nella gioia lasciando che la sua Parola agiti la nostra vita, i nostri giorni, che accompagni ogni nostra scelta.
Credo che questo dinamismo l’abbiamo dimenticato perché non piace a nessuno soffrire, non piace a nessuno seguire un Dio così. Eppure Gesù non sta dicendo che il beato è colui o colei a cui va tutto male. No, affatto ma è beato perché nonostante tutto sa guardare verso l’Alto, verso Dio. È capace di gettare il suo sguardo oltre l’orizzonte senza lasciarsi schiacciare, senza lasciarsi opprimere dalle situazioni.
Credo che il punto di partenza sia la stessa prima beatitudine proclamata: «beati i poveri in spirito, di essi è il Regno dei cieli».
I poveri di cui si parla non sono coloro che non hanno soldi, che vivono nella miseria. La Sacra Scrittura non esalta quest’aspetto della vita. I poveri in spirito sono coloro che riconoscono il proprio limite, coloro che si rendono conto della necessità di avere oltre per stare di fronte a Dio, che la vita non è solo questa ma quel grande desiderio verso l’infinito di Dio.
Allora ogni beatitudine che segue sarà vista è accolta diversamente nella nostra vita e questo solo perché abbiamo accolto Cristo Gesù povero, nel pianto, mite, affamato e assetato della giustizia, misericordioso, puro di cuore, operatore di pace, perseguitato e messo a morte, perché ci siamo fidati di Lui e con Lui apriremo la “porta” del Regno dei cieli. Il Signore ci chiama alla trasparenza della vita, alla schiettezza di una vita vissuta con responsabilità, senza guardare all’altro ma guardare solo Lui. Ecco perché Paolo, nella seconda lettura, ci dice «chi si vanta, si vanti nel Signore».
A noi che ci diciamo cristiani, che Lo vogliamo seguire ci chiede di assumere le proprie responsabilità, di avere il coraggio di pagare fino in fondo le proprie scelte, e anche i propri errori, di non rinnegare la propria fede per paura o di lasciarla depositata in un angolo della vita.
Lasciamo allora che il nostro cuore sia abitato da qualcosa di diverso. Lasciamo emergere quella libertà che sta dentro di noi.
Noi cristiani spesso siamo definiti ingenui, come se fossimo degli stupidi e forse la paura di cadere in questo vittimismo che magari ci allontaniamo da Dio. Ma non è così.
La parola “ingenuo” è bella per il cristiano. La sua etimologia latina ci dice che significa “nati liberi”. Dio ha messo nel nostro cuore questa libertà perché guardando a Lui possiamo leggere e vivere la nostra vita in un altro modo, secondo la logica del Vangelo.
Allora sappiamoci amare e viviamo nell’amore, è questa la beatitudine che ci renderà felici dinanzi a Dio.

Buona domenica nel Signore a tutti voi!