giovedì 13 aprile 2023

II DOMENICA DI PASQUA o DELLA DIVINA MISERICORDIA (ANNO A)

IL CHIAROSCURO DELLA NOSTRA FEDE
 
 
 
Stiamo celebrando la Pasqua del Signore e questa settimana ogni giorno, la Liturgia, ci ha accompagnato nel raccontarci gli eventi della Resurrezione. Purtroppo, abbiamo fatto una grande fatica a credere e i personaggi che ci hanno accompagnato sono stati segno di questa fatica per tutti noi. Del resto, è più facile convertirsi che credere. Lo possiamo osservare anche nel Vangelo di questa II Domenica di Pasqua, denominata da sempre "In deponendis albis". Secondo il Vangelo odierno la possiamo chiamare anche la “domenica di Tommaso”. San Giovanni Paolo II, durante il Giubileo del 2000, questa domenica l’ha consacrata alla Divina Misericordia, per ricordarci il cuore della nostra fede, per ricordarci il volto di un Dio che ha compassione, che ci vuole felici e per mostrarlo al mondo ha resuscitato il Figlio, Gesù.
Questa domenica, l’evangelista Giovanni continua a testimoniare il grande evento della Pasqua e oggi narra l’apparizione del Risorto ai suoi discepoli il giorno stesso di Pasqua ed è quello che ancora stiamo vivendo in questa domenica di ottava di Pasqua.
I discepoli si trovano nel cenacolo, con le porte sbarrate “per timore dei giudei”. Viene Gesù e, con il suo saluto di pace, la paura dei discepoli si trasforma in gioia. Questo è il Vangelo; una vita che fa il passaggio dalla paura alla gioia e questi due atteggiamenti, paura e gioia, sono puramente umani, ma l'evangelista Giovanni vuole indicarci con essi un "luogo teologico", cioè noi davanti alla realtà.
La paura è l’atteggiamento di chi percepisce la realtà e gli altri come ostili; la gioia è piuttosto la fiducia e la pace con cui il credente guarda il mondo intorno a lui.
Andando al cuore di questa scena, il messaggio centrale di questa domenica è la nostra fede... meglio il nostro modo di credere. Perché credere in Dio? Perché credere in un mondo secolarizzato dove Dio appare sempre più morto che vivo? Perché credere in Gesù, nel Vangelo, in quello che insegna la Chiesa da secoli?
Chissà quante volte diamo per scontato il nostro credo, in particolare quando liturgicamente dobbiamo professarlo: o con una formula più o meno lunga o con il rinnovo battesimale che si limita ad una risposta sull'invito del Celebrante: “credo” o “rinuncio” ... sempre se rispondiamo. Ma tutto qui?
No. Non è tutto qui. Oggi si confronta ancora una volta il chiaroscuro della nostra fede, perché nonostante la Resurrezione le piaghe rimangono, le fatiche pure. Infatti, non a caso gli incontri col Risorto avvengono la sera o all’alba, ore che raccolgono buio, angoscia, delusione, pianto, smarrimento, paura, confusione, abbandono, morte. Tutti quegli atteggiamenti descritti dalla Liturgia della Parola di questa settimana appena trascorsa, atteggiamenti della nostra quotidianità. Questa fede hanno sperimentato gli amici di Gesù. Questa fede sperimentiamo ognuno di noi, pur vivendo, forse in modo meccanico, la Pasqua del Signore. Per questo Gesù oltre a fare il dono della pace, dona lo Spirito Santo, quel dono divino capace di innescare una forza straordinaria, per riconciliarci con noi stessi e con il mondo attraverso l’offerta del suo perdono. Un dono che ci permette non solo di essere liberi dai peccati, ma anche da quanto quei peccati hanno provocato alla nostra esistenza, per poter risplendere come astri nel firmamento, essere riflesso dell’amore di Dio in questa realtà.
Ecco il grande impegno che nasce dalla Pasqua: pace e perdono.
Purtroppo, sottolinea l’Evangelista, qualcuno è assente. Quante assenze nella nostra comunità cristiana: non solo fisiche ma anche spirituali. Quante dispersioni della fede. Nel Vangelo quest’assenza ha assunto il nome di Tommaso. Un Tommaso che si ripete ancora ai nostri giorni. Non un Tommaso secondo il gergo popolare: “se non vedo non credo”. Tommaso era credente e penso anche fervente nel suo credo in Gesù.
Dove sta, allora, la grandezza di Tommaso? Il Vangelo di questa domenica è considerato «la prima conclusione» dello scritto giovanneo, anche se è segnato da dubbi, paure, vedere, toccare e che lascia aperta l'esperienza pasquale nel tempo e nell'eternità. È l'esperienza della chiesa di allora! È l'esperienza della chiesa di oggi!
Qui troviamo la grandezza di Tommaso che non chiude il suo credo. Non chiude il Vangelo ma lo apre alla vita. La grandezza di Tommaso sta in ciò che chiede di vedere. C’è una fede che Tommaso sa di dover chiedere, ma questa fede nasce dal vedere e toccare i segni della passione del Signore, i segni della continuità tra la croce e la Risurrezione. Questi sono i segni che Tommaso chiede di vedere: i segni che trafiggono la nostra fede, ma che in una croce e in una tomba vuota, fanno risorgere! Gesù risorto, infatti, non è uno spettacolo, ma presenza viva, che si fa' strada anche tra le incertezze e perplessità.
Questa domenica, Tommaso si fa prototipo di ogni credente, perché capace di recuperare l'esperienza dell'incontro con Gesù Risorto, per capire quanto sono amato, per gettarmi in quella sofferenza per capire che l’amore di Dio per me non è stato uno scherzo.
Con Tommaso ravviviamo la nostra fede. Come alle sue, anche alle nostre orecchie risuonano le parole di Gesù: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Credere, quindi, è un nuovo modo di vedere, di sentire, di sperimentare l'incontro con il Risorto e annunciarlo sulle strade della vita.
Sperimentiamolo e viviamolo anche noi!

Buona domenica nel Signore a tutti voi! 





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