giovedì 19 ottobre 2023

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

RESTITUITE A DIO QUEL CHE È DI DIO!


In questa domenica ci ritroviamo in quel grande discorso che Gesù fa ai suoi avversari in una grande tela piena di insidie, di trappole; e la cosa buffa è che i suoi avversari sono i farisei e gli erodiani, due ceti bipartisan che fra loro si odiavano ma tutti e due irritati dai discorsi di Gesù. Un po’ come succede ai nostri giorni: mettere insieme l’odio comune per ritrovarsi “fratelli”, in questo caso nel cogliere in fallo Gesù.
A Gesù i suoi avversari non fanno domande teoriche spirituali perché li potesse aiutare a crescere spiritualmente, cominciano a provocare buttandola sulla politica e costringendo in qualche modo Gesù a prendere una posizione.
L'argomento, con trappola ben congegnata, riguarda il tributo da pagare a Cesare. Perché è ben congegnata? Perché la domanda non ha una risposta buona. Gesù dando un sì o un no, darà una risposta sbagliata. Quindi una grande ipocrisia che si scontra con la realtà: tra verità e menzogna! Se ci facciamo caso il discorso degli avversari inizia con una captatio benevolenziae: lo chiamano Maestro, gli dicono che è veritiero, che insegna la via di Dio e che non ha soggezione di nessuno. Un proverbio siciliano direbbe: “Quannu 'u riavulu t'accarizza è segnu ca voli l'anima” (quando il diavolo ti accarezza è segno che vuole l'anima: attenzione a colui che cambiando modo di agire si dimostra improvvisamente buono e gentile).
Tutti, dal Vangelo, sappiamo che Gesù è portatore della verità, che insegna la via di Dio. Ma tutti ne siamo convinti?
Nel brano di oggi, al v. 16, non appare questa convinzione ma la maschera dell'ipocrisia, perché è una cattiva imitazione, una cattiva accoglienza di Gesù nella propria vita. Senza dimenticare la realtà cui viene circondata. Il filosofo Kierkegaard sostiene che “L’ipocrita si sforza in continuazione di sembrare buono pur essendo cattivo”.
Anche nel Vangelo i farisei e gli erodiani si sforzano di essere vicini a Gesù ma sono lontani dalla verità, vivono il mondo della menzogna e qui non stanno facendo altro che costruire una trappola mortale. Del resto, l'ipocrisia è una maschera letale per sé e per gli altri.
Quindi alla domanda se è lecito o no pagare il tributo a Cesare, Gesù non risponde alla domanda, per lui è ovvio che si deve pagare. Egli però non entra nel campo della tentazione, cosa di cui dovremmo imparare e, Gesù, una volta ricevuta e vista la moneta da lui richiesta, conduce i suoi avversari nel vero argomento con un forte imperativo: “restituite a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.
Cosa va restituito a Cesare? Ciò che è il suo sistema. Ognuno di noi è sempre debitore di un sistema sociale, politico, economico. Non siamo isole felici che ci possiamo permettere di fare quello che ci passa per primo dalla testa. Restituire significa saper abitare questa terra, prendersi cura del creato, di vivere in questo mondo anche se non gli apparteniamo, vivere in questo mondo senza creare quei segni di distruzione e di morte! E questo appartiene a tutti a prescindere se si è cristiani o no.
Cosa va restituito a Dio? L’uomo! “ogni uomo, porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza” (Benedetto XVI).
Il cristiano è chiamato in piena libertà e con amore a vivere il Vangelo e a donare la propria vita. Purtroppo, spesso vogliamo “salvare capre e cavoli”, diamo a Cesare ciò che è di Dio e a Dio ciò che è di Cesare. Invece, dovremmo imparare che in ogni cosa bisogna usare la logica dell’amore per poter servire, la logica dell’amore per vivere bene la nostra terra, la logica dell’amore per aiutare chi è nel bisogno.
Questa domenica dobbiamo soffermarci a riflettere su questo. Non possiamo passare oltre. L’episodio ci interroga: da quale parte stiamo? Dalla parte di Gesù o dalla parte del diavolo? Siamo chiamati a capire se vivere alla luce del vero o nell'oscurità della menzogna. Siamo chiamati a rivedere l'immagine di Dio che è in noi. “Se Cesare reclama la propria immagine impressa sulla moneta, non esigerà Dio dall’uomo l’immagine divina scolpita in lui?”, dice Sant'Agostino. Anche il Battesimo che abbiamo ricevuto lo reclama. Domenica scorsa abbiamo ascoltato quel monito: “amico come mai sei entrato senza l’abito nuziale?” (Mt 22,12).
Oggi più che mai ci stiamo divertendo a prendere in giro Dio attraverso i suoi ministri, attraverso i sacramenti. Pensiamo di stare vicino a Gesù, di stare dalla parte della verità, ma anche in questo siamo ipocriti: siamo dalla parte della menzogna. Eppure, tutti apparteniamo a Dio. Ce lo ricorda san Paolo quando dice che la nostra vita, sia nel suo corso terreno che quello dopo la morte è di Dio (Rm 14,7-9). Anche le parole di Gesù “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito” (Lc 23,46), ce lo ricordano e dovremmo ricordarcelo anche noi quando recitiamo la Compieta.
Il cristiano è colui che rende la propria esistenza a Dio e non una parte della vita. È una persona capace, fino al suo ultimo respiro, di fare una oblazione gradita a Dio, così come fece Gesù, sulla croce: “ed emise lo spirito”.
Allora, facciamo cadere quella maschera che opacizza la nostra anima, la imprigiona e ci rende infelici. Lasciamo che Dio sia Dio nella nostra vita, impariamo a donare la vita, quella vita che abbiamo ricevuto, impariamo a coltivare la vita interiore perché in Dio rifiorisca. Impariamo ad amare, sapendoci amati.

Buona domenica nel Signore a tutti voi!