APPARIRE O ESSERE
Questa settimana la Parola del Signore che ci ha accompagnato, ci ha posto degli interrogativi seri per il nostro cammino di fede, per un cammino di sequela.
Con questa domenica ritornano gli stessi interrogativi, però questa volta sono indirizzati a ciascuno di noi, a noi battezzati, a noi che vogliamo seguire Gesù. È una pagina che vorremmo eliminare perché ci mette a disagio, ci imbarazza, mette a nudo la realtà così come del resto è tutto il Vangelo, e ci pone questo interrogativo: che cosa significa essere cristiano? Perché sono cristiano?
Penso in questo momento a quelle persone che fanno un percorso di fede, quelle persone che si definiscono devote e si creano un sacco di paranoie, che prontamente rispondono: basta andare a Messa tutte le domeniche; dire le preghiere; osservare i precetti generali della Chiesa; etc. Tutte cose buone e utili per alimentare la fede ma non sufficienti per dirci cristiani autentici, perché dietro a quest’osservanza esteriore si può celare la falsità.
Il Vangelo di questa domenica ci mette in guardia dalla falsa religiosità, quella stessa falsa religiosità che andiamo criticando e che magari ci fa scegliere di non coltivare più la fede cristiana, di seguire Cristo nella vita di ogni giorno.
Non neghiamo qui quanto siamo esigenti da coloro che si professano cristiani o dai preti, dai frati, dalle suore perché la loro vita sia più in linea col Vangelo che con la moda corrente, sia più autentica. Ma non dobbiamo essere così tolleranti con noi, perché il Vangelo oggi ci invita a guardarci dentro per vedere se anche in noi ci sta una falsa religiosità, se ci sta un’esperienza infida dell’oblio che è un decadimento di Dio, della fede, della speranza, della carità che si è raffreddata. Magari abbiamo preso l’alzheimer spirituale, quel declino progressivo delle facoltà spirituali che non riconosce Dio come autore della salvezza, non riconosce in Lui il “primo amore”.
Gesù nel Vangelo ci dice di non imitare il modo di fare degli scribi e dei farisei perché il rischio è quello evidenziato dal profeta Malachia che descrive, sia gli scribi che i farisei e quanti seguono il loro modo di fare, così: "Avete deviato dalla retta via e siete stati d'inciampo a molti con il vostro insegnamento" (Mal 2,8).
Quante volte nei nostri ambienti notiamo tutto questo, anche con un certo fastidio, abbiamo sempre qualcuno che ama i posti di onore, che cerca sempre di mettersi in mostra e se non riesce in un'ambiente cambia fino a quando riesce a trovare il suo nido per poi tornare e dire le proprie teorie ipocrite.
Quanta meschinità, quanta superbia! A buon ragione Gesù dice che sulla "cattedra di Mosé" si sono seduti solo dei falsi pastori, falsi educatori, falsi cristiani. Tutti a mani giunte e tutti a pugni chiusi.
C'è un cuore che appare aperto ma in realtà è pieno di arroganza, prepotenza, falsità: senza amore. Non sappiamo guardare la realtà, non sappiamo guardare l'altro con gli occhi di Dio ma solo secondo il proprio interesse. Il Salmista prega dicendo: «Signore non si inorgoglisce il mio cuore» (Sal 131). È una preghiera piena di fiducia perché l'orante sa che l'amore di Dio è più importante della sua stessa vita (cfr. Sal 63).
Chi vive di questo, sa benissimo che alla base ci deve essere l'umiltà. Occupare un posto nella società, sia civile che religiosa, non vuol dire arrogarsi di qualche diritto per imporre un fardello all'altro creando anche scandalo e di fardelli e scandali in questi anni ne abbiamo visto. La cosa peggiore di questo squallore è che non ci si accorge di essere ridicoli agli occhi di tutti. Si è chiamati a saper indirizzare onestamente, perché tutto è dono e in quanto tale va donato.
Donare è il verbo del servire e non del prestigio. È il verbo dell'amore. In Gesù abbiamo un esempio. Anche Lui si è seduto sulla “cattedra di Mosè”, ma la sua cattedra fu la croce dove servì donando la sua vita.
Riscopriamo allora il nostro essere dono. L'essere cristiani non è una questione di rito ma di vita, vita fedele a Dio e alla sua Parola che si incarna nella realtà.
Riscopriamo allora l’essere discepolo. Il discepolo è colui che va alla scuola di Gesù e non colui che deve recitare alcune preghiere devozionali o andare a Messa la domenica per sentirsi a posto con la coscienza. Siamo invitati ad essere autentici fortemente chiamati a «vivere secondo la verità nella carità» (Ef 4, 15) operando per il bene verso tutti e allontanando da noi «ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza» (1 Pt 2,1), attraendo così gli uomini a Cristo.
Ricordiamo che Gesù non coltivava la sua immagine, non coltivava il suo successo ma i suoi discepoli. Del potere e della moda corrente non si è lasciato travolgere, ma è stato capace di indirizzare il cuore verso il Padre scoraggiando quelle persone fanatiche con atteggiamenti immaturi, e tra questi vi erano alcuni discepoli.
Chiediamo sempre l'aiuto dello Spirito Santo perché ci aiuti a spazzare quell'istinto a primeggiare quanto abbiamo dentro e di vivere quell'abbassamento che ebbe Gesù nella morte di croce, perché anche noi possiamo vivere per la gloria di Dio non la nostra; vivere per servire e non essere serviti, “essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo” (Mahatma Gandhi), perché alla fine della vita Dio ci chiederà quanto abbiamo amato.
immagine: Pandemia x Bipolaridade: entenda os sintomas que podem surgir no isolamento social – Revista Segura