giovedì 16 novembre 2023

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

DALLA PIGRIZIA ALL'ENTUSIAMO PER IL REGNO DI DIO

 
Siamo alla XXXIII domenica del Tempo Ordinario, è l’ultima domenica prima di celebrare la solennità di Cristo Re, per cui ci troviamo a fare i conti con l’anno trascorso: come è stato il nostro cammino di fede? a che punto siamo arrivati? quante occasioni abbiamo perso?
La Liturgia ci offre la parabola dei dieci talenti come strumento per rivisitare la nostra vita e guardarci allo specchio in maniera reale.
Chissà quante occasioni abbiamo avuto nell’ascoltarla? Occasioni a cui, forse, non abbiamo dato peso. Però ogni volta per ciascuno di noi è stata un’occasione per cogliere il nocciolo della questione: c'è un talento da coltivare, da custodire e da donare per rendere felice quanti il Signore ha posto sul nostro cammino.
Il talento, che cos'è? Nel Vangelo, nella forma figurativa era un lingotto d'oro o d'argento di una somma ben consistente, paragonabili a 20 anni di stipendio. Guardando ad oggi, diciamo abitualmente: "hai talento!", per indicare le capacità di qualcuno. Ma non è questo il talento di cui si parla, ma quei talenti che Dio dona a tutti: la Parola, l’Eucarestia, i Sacramenti, il Battesimo, cioè la grazia divina, la fede, la vita eterna. Abbiamo Dio stesso e il suo amore. Ma anche l’altro, la comunità è un dono di Dio e ciò significa che ogni persona che incontriamo è un talento, un dono di Dio per me, quel seme prezioso che Dio ha seminato nel mio campo, nella mia vita.
Allora la domanda di fondo che dovremmo farci è questa: che cosa ne abbiamo fatto di questi talenti che il Signore ci ha donato? Oppure ripensando il brano evangelico di domenica scorsa, anche il Vangelo di questa domenica è un'altra parabola del “frattempo”: come viviamo come discepoli di Cristo, nel frattempo, mentre attendiamo il suo ritorno?
Il brano evangelico inizia parlando di una partenza e di una consegna. Il beneficiario dei beni vive la condizione di servo. Il servizio è la realtà nella quale esprimiamo in modo sommo ciò che Cristo ha compiuto nel suo viaggio verso Gerusalemme. In fondo, rispetto al viaggio che Gesù ha compiuto, la nostra fedeltà per la nostra condizione di servi è ben poca cosa. Ma è una realtà alla quale il Signore affida un valore immenso, un patrimonio, se vissuto nella consapevolezza che tutto dovrà essere a lui reso.
Il talento, quindi, è un dono, è un patrimonio. Dio consegna il suo patrimonio. Quel patrimonio ce lo siamo meritato? Non ce lo siamo del tutto meritato e in realtà non appartiene del tutto a noi, perché della vita non possiamo fare ciò che vogliamo (anche se la società odierna testimonia il contrario); essa appartiene al Signore ed è un dono che il Signore ci fa.
La nostra vita è il primo e più prezioso talento che il Signore ci ha dato. La nostra vita è un dono fatto per gli altri. In quest’ottica metteremo a frutto la nostra esistenza solo in quanto la sapremo spendere per gli altri, a cominciare da coloro che il Signore ci ha messo vicino, come compagni di viaggio. Saremo quindi misurati su quanto la nostra vita avrà arricchito: genitori, fratelli, sposi, figli, amici, compagni di scuola o di lavoro, etc. Ognuno di loro è una occasione per capitalizzare il nostro talento, ognuno di loro è misura della nostra capacità di donarci. Il nostro tempo, la nostra volontà, la nostra fedeltà, la nostra progettualità, questi i talenti ricevuti e che siamo chiamati a mettere a frutto.
Cosa dobbiamo mettere a frutto? La nostra stessa libertà donata per amore è un talento da fruttificare. È l'amore il talento da fruttificare, è l’amore che Dio dona e che noi dobbiamo accogliere nel nostro cuore per poi donarlo ad altri cuori, che dobbiamo fruttificare. È l'amore del Signore che ci rende capaci, che continuamente ci promuove chiamandoci ad essere «buoni amministratori della sua grazia multiforme» (cfr. 1Pt 4,10), testimoni di Dio. È la vita del Vangelo che deve fiorire e rifiorire. Far rifiorire la vita del Vangelo significa far rifiorire l'amore di Dio in tutto il creato. E la Liturgia della Parola odierna loda questa rifioritura in coloro che si impegnano e che mettono a disposizione le loro energie.
Purtroppo, il Vangelo ha evidenziato che ci sta una paura da parte di uno dei servi e sotterra il patrimonio.
Ora l'essere umano, lo sappiamo, vive delle sue paure e la paura non deve essere soffocata o sotterrata ma vissuta con responsabilità in ogni circostanza della nostra esistenza.
Anche il cristiano, in quanto essere umano, ha le sue paure. La pagina evangelica odierna ci dice che qualsiasi paura o ansia possiamo provare, Dio è lì per alleviare quel peso. Allora è importante riporre fiducia in Dio, perché solo con la fiducia, con l'abbandono possiamo sconfiggere ogni paura. Non è necessario sotterrare il talento. Non abbiamo bisogno di fasciarci la testa prima di rompercela. "Il Vangelo è maestro della sapienza del vivere, della più umana pedagogia che si fonda su tre regole: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura. E soprattutto da quella che è la paura delle paure: la paura di Dio" (Ermes Ronchi). Occorre sentirsi figli e figli amati per sviluppare quei doni spirituali ricevuti. Siamo chiamati a vegliare e ad aspettare, non in modo pigro, come il servo del Vangelo, ma a compiere con entusiasmo l'opera del Regno e a coltivare frutti di giustizia, misericordia, pace, speranza e amore nel nostro quotidiano.
 
Buona domenica nel Signore a tutti voi!





immagine: https://santocielos.com/c-cristianismo/parabola-de-los-talentos/