giovedì 23 novembre 2023

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo

SAREMO GIUDICATI SULL'AMORE




Dopo 52 settimane, per conoscere e accogliere Gesù nella propria vita, eccoci arrivati al Capodanno liturgico: celebriamo la festa di Cristo Re. Domenica prossima, infatti, inizieremo con l’Avvento un nuovo anno liturgico. Ancora una volta celebrando l’Alfa e l’Omega, viene spontaneo domandarci: come siamo arrivati a questo giorno? Certamente tra gioie e dolori, ansie e speranze. Ma anche tra pretese, diritti avanzati, un puntare il dito, etc. Sì, siamo arrivati a questo giorno coi nostri limiti e con i nostri fallimenti e allora è il momento di discernere la storia, di chiederci che senso ha tutto quello che viviamo? Che senso ha la mia storia? La nostra storia? Ecco tutte queste domande di senso segnano la nostra liturgia domenicale perché tutto si rinnovi, guardando a Cristo Re, nella giustizia e nell’amore.
Guardare a Cristo Re significa anzitutto vivere una appartenenza. L'uomo non potrà mai essere emancipato, esso appartiene sempre a qualcuno: o riconosce la sua appartenenza a Gesù, oppure diventa schiavo del peccato. Infatti, la regalità di Cristo è d'amore e non secondo i nostri schemi o i nostri bisogni. Tutto ciò che è opposto a Cristo stesso e al suo Vangelo di Carità, amore di Dio e degli uomini, non rientra nella regalità di Cristo.
Il Vangelo di Matteo ci presenta Cristo nella sua gloria prospettandoci i risultati della nostra fede terrena. Già nella prima lettura il profeta Ezechiele ci dice che questa prospettiva è fatta di giudizio "tra pecora e pecora". Il passare in rassegna le pecore indica che l'ingiustizia e il male non avranno l'ultima parola: ci sarà un "pastore-giudice".
Questa Celebrazione, attraverso il linguaggio di Matteo, indica il tipo di Eucarestia che dobbiamo fare, che dobbiamo rendere a Dio: una conversione continua di tutto il nostro essere, che ci sveglia dal nostro torpore e ci conduce ad amare quanti ancora aspettano amore. Solo così sarà riconosciuta la regalità di Cristo da tutti.
Il cuore del Vangelo, infatti, richiama all'Amore per eccellenza e ad amare... sempre. Non ci sono mezze misure. Tutti saremo radunati per essere interrogati sull'amore. Chi più e chi meno. La domanda per tutti è uguale: hai amato? È finito il tempo di seguire un Cristo Gesù estetico. Bisogna seguire “l'Amore non amato e non conosciuto” (diceva Santa Maria Maddalena de' Pazzi). Infatti, cosa resterà della nostra vita se non l'amore?
Allora è il caso di interrogarci per capire come amiamo; come trascuriamo l'amore. Se per amare qualcuno, il sofferente, cerchiamo ancora il tornaconto e nel frattempo lo lasciamo nella sua solitudine sofferente, oppure amiamo e basta, senza tanti sotterfugi. Già il profeta Elia rimproverava questo tipo di credenza subdola (cfr. 1Re 18,21). Il Vangelo odierno ci dice che il non amare è paragonato ad aver perso lo sguardo di Dio.
Perdere lo sguardo di Dio, biblicamente parlando, significa che la nostra vita è su un letto di morte. È facile pensare in certi casi a se stessi. San Paolo ci ricorda che "nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, ma per il Signore, per l'Amore" (Rm 14,7).
Perdendo lo sguardo di Dio perdiamo le opere buone del Vangelo lasciando ancora in piedi quella domanda che troviamo al principio: "che cosa hai fatto di tuo fratello?" (Gen 4,10).
Gesù interroga su queste opere buone del Vangelo. Interroga sullo stesso sguardo di Dio, su quello sguardo che ti estrae dal potere della morte. E c'è di più. Dice: "tutto quello che avete fatto (cioè le opere buone) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me".
Avere quest'attenzione verso l'altro, verso il sofferente, verso l'ultimo non è un optional ma è avere attenzione a Cristo stesso, perché tutti sono "la carne di Cristo". Avere attenzione all'altro, al sofferente, all'ultimo è entrare nel Regno e sentirsi dire: "Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo". Ricordiamoci che, quando ci si mette al servizio dell’umanità povera, ferita, stiamo realizzando il Regno di Dio.
I nostri santi amavano, “al termine del giorno”, esaminarsi sull’amore, si chiedevano quali passi verso la virtù avevano compiuto durante il giorno. Questo a noi manca. Dobbiamo fare nostro quest’aspetto della vita spirituale che ci aiuta ad esaminarci se abbiamo amato non in modo astratto, ma concretamente e con i fatti.
Oggi più che mai la nostra storia è segnata da tante sfide insieme alle sue paure e c’è di bisogno che ogni battezzato sia testimone di un vangelo vissuto, che proclami con le opere il grande amore di Dio, che si senta sempre più amato da Dio per poter amare come Dio vuole che si ami, ricordandoci che ogni gesto d’amore è un gesto fatto “con Gesù”, perché con Lui noi camminiamo; è un gesto “come Gesù”, perché l’abbiamo imparato da lui; ma è anche un gesto fatto “a Gesù”, perché ogni volta che si è fatto un gesto d’amore lo si è fatto “a Lui”.
Questo è quello che noi celebriamo ogni volta che ci raduniamo per fare Eucarestia ma se tutte quelle volte che celebriamo l’Eucarestia non è accompagnata dalla sofferenza dell’altro facendosi prossimo è vana la nostra celebrazione.
Sia questa domenica uno sprone alla nostra coscienza credente, affinché siamo sempre più convinti che condividere con gli ultimi, con i sofferenti, con i poveri ci permette di comprendere Gesù Cristo, Parola eterna del Padre, nella sua verità più profonda e il suo Regno diventerà realtà.
 
Buona Domenica nel Signore a tutti voi!