giovedì 25 aprile 2024

V DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

INNESTATI A CRISTO GESÙ


Siamo alla V domenica di Pasqua e la Liturgia ci fa ancora ascoltare un brano del Vangelo di Giovanni. Giovanni, come sappiamo, non riporta nel Vangelo le “parabole” ma delle “immagini” come quella della “luce del mondo”, del “pane di vita”, del “pastore bello”.
Questa domenica ci presenta l’immagine della “vite”. Tutte queste immagini sono delle similitudini per comunicare il messaggio d’amore del Signore, cioè quella linfa che permette di portare frutti.
L’ambiente che abbiamo davanti è quello agricolo dove un contadino sa benissimo cosa è la vite e cosa sono i tralci e soprattutto il vitale rapporto tra queste componenti della vigna. Ce lo fa capire meglio un verbo che Giovanni ama ripetere: “rimanere”. Non è un verbo qualsiasi grammaticale ma è il verbo della vita cristiana. Gesù nel Vangelo si identifica alla “vite vera” e definisce tutti noi “tralci”. Mentre la vigna è quell’immagine del Regno di Dio, della Chiesa il cui agricoltore, vignaiolo è il Padre.
Ora il “rimanere” di cui parla Gesù è un rimanere reciproco, perché i tralci senza la vite non possono fare nulla; infatti, non esiste il tralcio se non è innestato in quel tronco che è la vite e diversamente a cosa serve la vite se non ha i tralci?
Questa reciprocità, questo essere innestati alla vite, a Gesù, è un bisogno per portare frutti. Questo significa essere discepoli di Gesù, stare con Lui nella vita di tutti i giorni. Certo c’è anche dell’altro da fare come osservare i comandamenti (cfr, Es 20,1-11), vivere le beatitudini (cfr. Mt 5,1-13), fare le opere di misericordia (cfr. Mt 25,35-36) e quanto insegna il Signore nel Vangelo. Ma non dimentichiamo questo di più: “rimanere con lui”, un bisogno reciproco. In cosa consiste questo bisogno? Gesù insegna l’amore da vivere nella quotidianità. Questa è la linfa che produce i frutti. La vita cristiana non è qualcosa di accomodaticcio ma un amarsi come Lui ci ha amato. E l’amore è il primo frutto dello Spirito Santo che ci spinge a donare la propria vita, a condividere le sofferenze, le gioie dell’altro. Ci spinge ad essere testimoni del suo amore perché gli uomini «vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro» (Mt 5,16). E qui sottolineiamo che quest’amore non ha condizioni, anche davanti a chi ci ha fatto del male. Poi ci sono gli altri frutti che sono la gioia, la pace, la pazienza, il sapersi adattare ai bisogni del fratello o della sorella in ogni situazione della vita, il frutto della bontà, della fedeltà, della mitezza, del dominio di sé. Questi sono i frutti di questa linfa. Questo è il bisogno che ha Gesù di noi.
Quanto è importante allora questo rimanere, tanto è importante quanto la perseveranza in esso; infatti, solo la perseveranza nel rimanere in Cristo non permetterà la sterilità, pur restando fragili ma possiamo avere quella linfa, quella forza, quella fecondità per portare frutto e far crescere così, con la testimonianza, la Chiesa. Diversamente se si manca di questo “rimanere” saremo un tralcio secco, inutile, infecondo da potare, da tagliare per essere buttato in un angolo e poi bruciarlo.
Allora è importante chiedersi quale tipo di rapporto ho con il Signore? Quale dialogo intimo con Lui? Se ci sentiamo legati a lui o al nostro modo di fare e di pensare?
Se osserviamo con attenzione la nostra vita, ci accorgeremo che si lega molto alle cose del mondo, alle cose effimere. Ci accorgiamo che al centro ci siamo noi e non Dio, ci sentiamo padroni della nostra fede in Dio sentendoci a posto con la coscienza e poi magari litighiamo con l’altro. Siamo tra coloro che non danno senso, amore, linfa vitale alla nostra esistenza. Ecco perché Gesù si rivela ancora una volta come la fonte della vita, l’albero da cui viene la linfa capace di far dare frutto alla nostra vita.
Nella nostra vita vi è un punto misterioso dove passa la linfa che è la vita stessa di Gesù, innestata in noi col battesimo. Questa linfa passa, purché il tralcio rimanga stretto alla vite, cioè a Gesù. È un sentirsi sempre amati dal Padre; è un sentirsi innestati in quest’amore vitale, con l'unione della mia volontà a quella del Padre, condividendo la stessa passione di Dio per l’uomo, mediante una vita di fede speranza e carità, alimentata dalla preghiera e dai sacramenti. Infatti, la vite non produce frutto per sé, non è un semplice regalo personale ma è comunitario. La vite produce frutto perché qualcuno ne goda e quindi il discepolo di Cristo non produce amore per ingalluzzirsi dinanzi a qualcuno per la sua perfezione morale e nemmeno per ottenere un premio in paradiso, no! San Paolo ce lo ricorda: «Nessuno vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso» (Rm 14,7), significa che viviamo per il Signore, e quando viviamo per il Signore, il Signore ci conduce per mano verso una pienezza, verso una gioia, verso una letizia tali che traboccano rispetto a tutto e a tutti.
Allora anche nel produrre frutto si gioisce perché in quel momento qualcun altro è felice, trabocca di gioia nel verificare che l’amore di Dio si è manifestato attraverso di lui, è felice perché vede nascere una civiltà dell’amore ed è l’unico frutto che il Padre del cielo si aspetta.
Prendiamo coscienza di tutto questo per evitare una vita strappata via da Gesù e cadere nella vanità, nel non senso, nella superficialità, nel peccato. Rimaniamo innestati alla vite, rimaniamo uniti, fedeli a Lui.
 
Buona domenica nel Signore a tutti voi!