giovedì 2 maggio 2024

VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

VIVERE LA STESSA PASSIONE DI DIO


Questa domenica, VI di Pasqua, è la domenica dell'amore. Un amore purtroppo svanito dalla nostra vita o come già descriveva San Girolamo: “una merce rara”. Sì, è una merce rara perché davanti ci sta sempre il nostro io che si oppone a Dio.
In linea con le altre domeniche trascorse, ancora una volta Gesù ci parla di amore, di gioia, di pienezza. È la sua passione per l’uomo. Ma chiediamoci pure: questa stessa passione di Dio vibra nel nostro cuore?
Oggi l'interesse è quotato su altre piazze dove si cerca e ricerca ugualmente la felicità. Una canzone del 1994 ci ricorda che l’amore di oggi è strano, va e viene, è fragile, è prigioniero, è libero e non sa vivere (da “Strani amori” di Laura Pausini).
Per riprendere la marcia e vivere questa passione di Dio per l’uomo e per la vita, il Vangelo torna a insistere su un verbo significativo per la nostra vita di fede: “rimanere” che è sinonimo di “dimorare”.
Giovanni nei suoi scritti ne fa un uso sproporzionato di questo verbo, a testimonianza dell'assoluta necessità di porre stabilmente la nostra dimora presso il Signore, come fecero i due discepoli del Battista, all'indomani del battesimo di Gesù (cfr. Gv 1,35-42) e una volta scoperta l’identità di Gesù si sono sentiti attratti verso di Lui.
Rimanere allora è questo “sentirsi attratti”, non è un verbo che indica di stare un certo tempo con il Signore, tanto per occupare del tempo, o rimanere per obbligo anche se il Signore non impone ma propone.
Rimanere indica un permanente abitare e quando questo abitare è autentico, che fa bruciare il cuore, il Signore volge il proprio sguardo. Per questo “rimanere” fa parte del comandamento dell’amore, cardine della fede cristiana. L'amore è concentrato in questo verbo, è concentrato tra noi e Dio perché gli sguardi si possano attrarre reciprocamente. E questo rimanere è l'ennesima dichiarazione d’amore esplicita che Gesù ci fa. Desidera che restiamo aggrappati a Lui.
Oggi purtroppo quest’amore di Dio è sempre più messo in discussione. Recentemente un convegno di teologi europei ne ha parlato, segno che il nostro mondo è sempre più senza Dio, non vive di quest’attrazione. Noi spesso ci illudiamo. Sembra che ci piaccia rimanere in un mondo pieno di paure, di stress, dove il male è diventato a portata di mano mescolando il tutto con una falsa e malata religiosità facendo a meno di Dio, facendo a meno di Gesù. Ma Gesù stesso ci dice che senza di lui non possiamo fare nulla (Gv 15,8), perché siamo miseri, sterili e senza la forza della Parola non arriveremo da nessuna parte. Per questo Gesù per renderci fertili ci presenta il suo comandamento: «amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12).
Noi abbiamo a suo tempo appreso e dimenticato quei comandamenti, quel decalogo che qui nel Vangelo non si ripetono, perché il comandamento di cui Gesù parla è l’agire stesso di Dio; magari altrove parla delle Beatitudini ma qui parla del comandamento dell’amore che non è quello che ricaviamo da una canzonetta o da una poesia e neanche è una interpretazione sentimentale e pia che riduce tutto ad andare in giro con un gran sorriso e uno grande slogan: “basta che sia amore!”. Troppo facile, effimero e senza sostanza.
Per vivere l’amore di Gesù non occorre una dottrina da imparare ma semplicemente mettere in atto quei gesti che comunicano passione per la vita “come” fece Gesù. Ed è su quel “come” che si gioca il nostro cristianesimo perché fa dell’amore una norma, una misura che ci fa tradurre le parole di Gesù in questa maniera: “con l'amore con cui io vi ho amato, amatevi gli uni gli altri”.
Se prendessimo sul serio quel “come”, questa novità d’amore di Gesù esploderemo di gioia, di vita, di pienezza, perché l’amore di Gesù nasce in un cuore umile e che si dona gratuitamente senza andare in giro a cercare un motivo per amare l’altro, senza etichettarlo, allora saremo “suoi discepoli” perché ci sarà amore reciproco, scambievole e il comandamento dell’amore diventerà per tutti i cristiani uno statuto di vita. E tre saranno le caratteristiche peculiari del discepolo di Cristo: la carità, il perdono, la misericordia. Solo chi vivrà dell’amore del Signore potrà definirsi discepolo di Cristo risorto e si sentirà chiamato da Gesù “amico”.
Questa parola non è da intendere alla nostra maniera. Per Gesù “amico” significa essere alla pari, senza nessun tipo di atto discriminatorio e si è alla pari perché ci sta relazione, ci sta attrazione. Per il cristiano, l’amico è quella persona che vive una stretta relazione/attrazione con il Signore.
Nell’amicizia c’è gioia e uguaglianza. E il motivo di ciò Gesù stesso ce lo dice: «perché la vostra gioia sia piena».
La gioia è quel sintomo che ti dice che tutto sta procedendo bene, che la tua vita è sulla giusta strada, che il tuo cuore trabocca d’amore fino a far vibrare in esso il nome di Dio. E questo non è un amore egocentrico, chiuso ma che si dilata, è un amore missionario, fecondo e spinge a una partenza: «perché andiate e portiate frutto». E quali sono questi frutti: pace, guarigione, pazienza, fervore di vita, liberazione, tenerezza, bontà, giustizia (cfr. Gal 5, 22-23). Dai frutti ci riconosceranno discepoli di Cristo Gesù e se c’è amore questi frutti continueranno a germogliare e sarà gioia piena, duratura.

Buona domenica nel Signore a tutti voi!