RITORNO ALLE ORIGINI
Continua il cammino di Gesù verso Gerusalemme e lungo la via non mancano i suoi insegnamenti. Come al solito qualcuno deve interrompere quanto di bello e di buono sta facendo Gesù. Questa volta sono i farisei, che alzano una discussione sulla famiglia, sul matrimonio. Ma Gesù, come è solito fare, ci regala una finestra aperta sul cuore di Dio.
Attenzioniamo che Gesù non è interrogato sull’amore dei coniugi ma su quando l’uomo può ripudiare la moglie; i farisei chiedono a Gesù quali siano le formalità per poter emettere un atto di ripudio secondo il suo pensiero. In pratica, Gesù è interrogato sulle cose più vulnerabili dell’uomo: su come distruggere, recare dolore all’altro e ai nostri giorni accadono queste cose (ambo le parti) sotto varie sfumature, anche criminose.
Davanti abbiamo una pagina molto difficile da capire per coglierne il giusto senso nelle nostre concrete situazioni o in questo tempo in cui di matrimonio come sacramento, cioè, di sposarsi nel Signore (perché sposarsi in chiesa significa altra cosa) è diventato molto difficile.
Allora, guardiamo con umiltà questa Parola domenicale che prova a parlarci dell’amore. Davanti abbiamo “una montagna da scalare”, perché parlare e cogliere l’amore non è così semplice. Amore è una parola intima, profonda, che fa vibrare il cuore, che è nel sogno e progetto di Dio per ciascuno di noi ed è per questo che ci rendiamo conto di quanto sia difficile vivere l’amore. Anche ai tempi di Gesù era la stessa cosa, per questo Gesù, in un modo sorprendente, affronta l’argomento iniziando dalla durezza del cuore, mettendo in risalto che certe norme sono il risultato di una sclerocardia fin dai tempi di Mosè, di un essere chiusi in se stessi senza avere quell’amore che sappia guardare la realtà e quando nella nostra vita non c’è amore tutto è secco e senza vita. Invece il progetto e il sogno di Dio dice: «non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Non è bene vivere quella solitudine che crea angoscia, che affligge il cuore. Non è bene perché siamo stati creati a immagine della Santissima Trinità e quando parliamo della Santissima Trinità, parliamo di comunione e non di solitudine e per questo Dio aggiunge: “farò un altro di fronte a te”, cioè un contrapposto, non una fotocopia ma una persona diversa con cui relazionarsi, una persona diversa con cui fare quel viaggio a ritroso verso le origini.
Aprendo quest’orizzonte che conduce alle origini, che conduce alla verità, a quello che realmente conta, Gesù, riportando l’uomo alla sua bellezza originaria mostra una prima regola che fa constatare che l’innamoramento, la relazione, nasce da una mancanza, da un vuoto che non è da riempire ma da condividere, da percorrere insieme all’altro, sapendo che davanti hai qualcuno che certamente non conosci ma che sai che è diverso da te.
Quanta fatica a capire questo. Come Adamo cerchiamo sempre di portare a se stessi l’altro, come se fosse opera propria: «questa volta è osso delle mie ossa» (Gen 2,23). Ma Gesù ci vuole educare a ben altro e dice: “riparti dall’origine, riparti dal quel progetto e dal sogno di Dio nei tuoi confronti”. E riprendendo il libro della Genesi ricorda tre modi per gestire le relazioni (Mc 10,7-8): lasciare la propria idea di famiglia, creare questa relazione e unire la carne che nella Bibbia non ha nulla a che vedere con la sessualità ma con la parte fragile, nel trovare i punti di incontro, condividendo la propria fragilità.
Questo è quello che cerca di farci capire Gesù con la pagina del Vangelo domenicale smascherando la motivazione dei tanti ripudi, che non si tratta di rispondere a un divorzio sessista e maschilista ma di riprendere quella parte dei più deboli, dei più fragili ed è per questo che al termine del Vangelo troviamo Gesù che difende i bambini.
Davanti allora non abbiamo una pagina che afferma dei principi cristiani nei confronti del divorzio ma il grande sogno di Dio: l’amore. In questo momento Gesù ci sta dicendo che in qualunque situazione sentimentale ci stiamo trovando, sia da soli o in coppia, qualunque sia la nostra situazione, sappiamo che questo non è il sogno di Dio e che tutti possiamo creare relazioni.
La vocazione cristiana, infatti, è vocazione all'amore e questa vocazione appartiene a tutti. Ecco perché Paolo ci ricorda che tutti siamo chiamati ad amarci come Cristo ci ha amati, «sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21) che non significa dominio ma servizio!
Da dove iniziare per vivere meglio l'amore, questo lungo sogno di Dio? Dalla semplicità. Gesù al centro mette la semplicità di un bambino. A quei tempi rifiutato, ultimo, senza diritti. Avere l’atteggiamento del bambino, del più fragile, vuole indicare quel puro bisogno del bambino, che non può vivere da solo: egli ha bisogno di essere accudito, altrimenti non vive ed egli vive solo perché è amato.
Questa caratteristica di vivere se siamo accolti, amati, è il fondamento del nostro esistere, delle nostre relazioni, è il sogno di Dio: chi non è accolto non esiste, è sempre inquieto, angosciato vivendo il provvisorio con la paura di sbagliare creando quel divorzio dentro e fuori di sé.
La scena dei bambini nel contesto del ripudio riguarda tutti. Tutti necessitiamo di quella piccolezza del bambino perché la grandezza di Dio possa prendere posto nel nostro cuore, perché possiamo vivere ogni nostra relazione in modo autentico con coscienza, prudenza e amore.
Buona domenica nel Signore a tutti voi!