mercoledì 12 febbraio 2025

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

RICONOSCERSI POVERI


Siamo alla VI domenica del Tempo Ordinario e il Vangelo di questa domenica ci raduna in luogo pianeggiante per ascoltare un grande discorso di Gesù, per ascoltare le beatitudini.
Sappiamo che la Sacra Scrittura contiene diverse beatitudini; la liturgia di questa domenica ci propone quelle di san Luca che ne presenta solo quattro, seguite da quattro avvertimenti.
Luca presenta le beatitudini per quanti Gesù ha scelto come suoi discepoli nella vita di tutti i giorni. Ma che significa seguire il Signore? La risposta ce la fornisce il Vangelo stesso facendoci capire che seguire il Signore non è “un tempo di Tabor”, dove tutto è bello. Seguire il Signore Gesù significa “rinnegare se stessi” (Lc 9,23), “lasciare tutto” (Lc 5,11.28), “rinunciare agli agi” (cf. Lc 9,58), “essere detestati” (cf. Gv 17,14), “allontanarsi dalle cerchie del potere, dai soldi e dall’onore” (cf. Gv 16,2). Significa vivere quelle azioni che, nel giusto modo, costruiscono il cristiano, costruiscono il discepolo di Cristo.
Inoltre, il Vangelo ci dice che la sequela Christi nasce anche in un contesto di sofferenza, nasce anche in un mondo dove i valori vengono capovolti dal proprio io e da una sete di potere. Per questo abbiamo bisogno di far ressa attorno a Gesù, come la folla del Vangelo, abbiamo bisogno di ascoltare la sua Parola, abbiamo bisogno di farci scuotere dentro, abbiamo bisogno di ricevere quello sprint necessario per dare un nuovo colore alla quotidianità.
La folla del Vangelo arriva dai quattro punti cardinali, come quattro sono le beatitudini e gli avvertimenti. Questi punti cardinali vogliono indicare che la fede in Dio è per tutti i popoli, tutti abbiamo bisogno di sfamarci della Parola di Dio e non solo coloro che seguono Gesù (o lo vogliono seguire) sulle strade della vita ma anche per tutti quelli che, nonostante tutto, possono guardare l'oltre di Dio e diventare dimora di Dio, casa in cui il Signore abita, sperimentandone tutta la bellezza e la gioia.
Questa domenica l’evangelista Luca non ha per noi una lezione di morale, ma ci rivela l'azione di Dio in Gesù rivelando come Egli agisce nella storia umana. In questo contesto si innescano le beatitudini di questa domenica che spiazza un po’ tutti, in quanto non è una cosa semplice accoglierli. Infatti, essere povero, sofferente, piangente, perseguitati, insultati, non è una bella cosa ma non è quello che ci chiede Gesù in questo momento, non è quello che Gesù chiede a chi vuol seguirlo, a chi vuole essere un buon cristiano. Ma allora cosa sono queste beatitudini, queste felicità elencate? Le beatitudini o la felicità annunciata da Gesù è Lui stesso, è l’incontro che possiamo fare con Lui nella nostra vita di ogni giorno iniziando dalle piccole cose. Se la nostra vita non è trasformata dall’incontro con lui, tutto si può trasformare in una pura illusione.
Le beatitudini, invece, sono una prospettiva diversa della vita, un alzare lo sguardo per poter osare e dire e credere che, se il nostro tempo è difficile, possiamo sempre dare il meglio di noi stessi.
Qui si innestano i valori di Dio che capovolgono quelle idee che l’uomo di oggi vuole imporre, qui si innestano i valori da vivere nel momento presente e ci vuole tanta costanza, tanta perseveranza, tanta preghiera. Per questo Luca alla beatitudine fa seguire una sventura, facendo dire, in qualche modo, a Gesù queste parole: “svegliati! È molto importante che tu sia orientato sulla realtà e non sull’illusione!”. L’illusione, infatti, è il pericolo più grande in cui ognuno di noi può incappare; ricordiamo che Satana illuse Eva che, prendendo il frutto, sarebbe diventata come Dio ed in cambio ottenne la morte e la fine della sua dignità di essere spirituale e la sua rovina fu grande.
Nelle parole di Gesù ci stanno parole di speranza perché la nostra vita sia orientata verso Dio e non a nostro sfavore. Bisogna partire dalla nostra stessa miseria, in modo che possiamo veramente aprirci a Dio e far sì che Lui sia il Dio nella nostra vita. Noi invece odiamo le nostre povertà, le nostre miserie che ci lasciamo contagiare dal consumismo e da quanto non ci appartiene, pensando anche di fare a meno di Dio pensandoci ricchi e gioiosi, pensandoci a posto con noi stessi.
Invece spiritualmente parlando, dovremmo riconosce la nostra povertà il nostro punto di forza perché è lì che Dio dimora, è lì che possiamo incontrarlo. Il libro dei proverbi ci ricorda che «prima della rovina viene l'orgoglio, prima della caduta c'è l'arroganza, è meglio abbassarsi con gli umili che spartire la preda con i superbi» (Pro 16,18-19) questo significa che prima della salvezza c'è l'umiltà, significa che prima della visita del Signore ci sono le nostre lacrime, il nostro senso di povertà, perché «chi è prudente nella parola troverà il bene e chi confida nel Signore è beato» (Pro 16,20).
Ricordiamoci che saper riconoscere le nostre povertà è anzitutto un segno di libertà, di un cuore che sa aprirsi alla novità del Cristo. Inoltre, saper riconoscere la propria povertà significa trasformare il nostro cuore in un luogo di gioia profonda perché aperti alla grazia che Cristo ci ha donato. Occorre prendere sul serio la nostra vita, dando spazio all'essenziale, dando spazio a Dio. Perché il cristiano è tale solo perché ha capito dove risiede l'Essenziale e getta tutto sé stesso, in piena libertà, in Dio divenendo felicemente come la casa costruita sulla roccia (cf. Mt 7,24-27).

Buona domenica nel Signore a tutti voi!